Tom Petty (And The Heartbreakers) IL SEMINOLE BIONDO CHE INSEGUIVA IL SOGNO DI ELVIS (PARTE SECONDA: 1988-2017)
6. Sprofondare in un sogno e trovare nuovi fratelli
“Let Me Up” lascia parecchi interrogativi in seno alla band degli Heartbreakers, particolarmente in Benmont Tench e soprattutto Stan Lynch, che preferirebbe maneggiare materia “rock”, mentre Mike Campbell e Tom Petty si dilettano con la composizione pop di più ampio respiro, motivati da precedenti esperienze conto terzi come quella per i Lone Justice di Maria McKee, per i quali avevano scritto nel 1985 la notevole Ways To Be Wicked (che, però, si era fermata intorno alla 75ma posizione della classifica Hot 100). Petty è sempre più convinto di dover dare una sterzata al suo stile, renderlo più pop, ma in senso intelligente. Un giorno incrocia George Harrison, con il quale ha stretto un’amicizia che si sta consolidando, il quale gli lascia un nastro con il mix preliminare di un disco che sta realizzando con Jeff Lynne, produttore inglese famoso per essere stato membro dei Move e aver successivamente dato sostanza alla propria ossessione beatlesiana con il gruppo degli Electric Light Orchestra: l’album si intitolerà “Cloud Nine” e risulterà uno dei più grandi successi della carriera di Harrison.
Tom è affascinato dal suono del nastro, dalle composizioni leggere ma sostanziose: esattamente quello che va cercando, quindi decide di incontrare Lynne. L’intesa è immediata, tanto che i due scrivono subito una canzone straordinaria (Free Fallin’) e decidono di iniziare a registrare nel garage di Campbell con l’aiuto di Phil Jones (tecnico della batteria di Lynch e saltuariamente percussionista aggiunto nei concerti degli Heartbreakers). L’atmosfera rilassata, l’idea della casa discografica di rallentare le pubblicazioni (Let Me Up è risultato il peggior piazzamento di Petty sino a quel momento, meglio lasciar decantare la delusione del pubblico), producono in Tom quell’effetto che cercava da un pò: questo sarà il suo album solista, anche se Mike sarà uno dei produttori (con Petty e Lynne) e un paio di membri della band faranno qualche apparizione durante le registrazioni. Jeff, nel frattempo, sta producendo anche “Mistery Girl”, l’album che la Virgin intende sia il ritorno in grande stile di Roy Orbison e chiama a suonarvi Campbell, Tench, Epstein e lo stesso Tom. Mentre sono riuniti in studio, George Harrison si presenta dicendo che vorrebbe inserire un inedito quale B-side del nuovo singolo e Lynne chiede a Orbison e Petty di partecipare. Poiché lo studio è prenotato dalla casa discografica di Roy e non vi sono altre sale immediatamente disponibili, Harrison chiama Bob Dylan per chiedergli se possano trasferirsi momentaneamente nel suo studio privato per incidere velocemente questo brano intitolato Handle With Care. Come si può immaginare, riunire in una stanza sublimi autori con qualche problema di ego poteva creare scompiglio e portare a un nulla di fatto: non fu questo il caso (se pensate per un attimo ai personaggi coinvolti lo troverete naturale), tanto che in pochi giorni scaturì materiale per realizzare un intero album a nome Traveling Wilburys, un dischetto nato per caso che schizzò al numero 1 delle classifiche, vendette uno sproposito e favorì il ritorno in auge del povero Roy, che non si godette a lungo questa nuova giovinezza. Ma il supergruppo dei fratelli Wilbury, pubblicato su apposita etichetta (Wilbury Records), e il termine delle registrazioni di Orbison non lasciarono molto spazio al nuovo disco del Nostro, “Full Moon Fever", che venne pubblicato nel 1989, preceduto dai singoli I Won’t Back Down e Runnin’ Down A Dream, vendendo piuttosto bene. Finchè non uscì Free Fallin’ e l’album schizzò così in alto da surclassare le vendite di “Damn The Torpedoes”, da dieci anni il più venduto dei dischi di Petty. E Tom ebbe il SUO album.
7. Imparare a volare
Ma cosa avevano fatto gli Heartbreakers nel frattempo? Non erano rimasti con le mani in mano: Stan Lynch si era dedicato a comporre con Don Henley (Eagles) le canzoni del disco di quest’ultimo, “The End Of The Innocence”, mentre Howie Epstein aveva scoperto le sue capacità quale produttore e le aveva messe al servizio di personaggi illustri (il bellissimo “The Missing Years” di John Prine testimonia di quanto fosse bravo) e tutti, qua e là, avevano lasciato qualche impronta su dischi spesso importanti. Tom si stava convincendo della necessità di tornare a lavorare su un progetto di gruppo, la tournée di “Full Moon Fever” testimoniava quanto i ragazzi della band avessero assimilato il nuovo sound senza snaturare la propria naturale vocazione “rock” e, con la pubblicazione nel 1990 del secondo capitolo dei Wilburys, erano ormai maturi i tempi per tornare in studio per un nuovo capitolo a nome Tom Petty And The Heartbreakers. Il biondo artista pensò di affidarsi nuovamente a Jeff Lynne per la produzione, ritenendo il team ormai affiatato. Ma la magia delle vecchie sessions del gruppo sembrava svanita: mancava quella componente garage, quell’attitudine power pop che si avvertiva nei lavori fino a Southern Accent. La batteria. Fateci caso: il suono rutilante della batteria di Lynch, quei piatti brillanti, quelle rullate “piene”, tutta roba che non si sente nelle produzioni di Lynne, che ama un suono più secco e leggero, una percussione accordata su una nota più alta. A Stan quel suono non piaceva, lui era uno che amava il suono di Keith Moon, la British Invasion, al limite il suono nero del funky. E non era molto contento di essere stato l’unico Heartbreaker a non essere stato invitato a partecipare alle registrazioni di Full Moon Fever. In qualche modo, comunque, il nuovo disco, "Into The Great Wide Open", fu completato, nell’insoddisfazione generale, e benché contenga un paio hit (la title track e Learning To Fly), e brani suggestivi come Too Good To Be True, rese chiaro a tutti che l’esperienza con Jeff fosse giunta al termine. A quel punto, anche i rapporti con la MCA cominciano a vacillare: Petty riceve proposte contrattuali più allettanti e, segretamente, firma un contratto con la Warner Bros. Dato che deve ancora un disco alla vecchia etichetta, la scelta cade sulla pubblicazione di un "Greatest Hits" con un paio di brani nuovi che lo rendano appetibile anche ai fans più fedeli. In realtà, nello stesso momento, Tom sta lavorando a un nuovo album solista, “Wildflowers”, per il quale ha chiamato Rick Rubin in sala di regia. Rubin è un produttore versatile, ha lavorato in tutti i generi musicali, dando a ogni produzione il tocco giusto e registrando con un effetto di “presenza” del suono estremamente efficace. Alla batteria viene chiamato Steve Ferrone, già veterano delle sale d’incisione. Rubin, essendo consapevole dei doveri di Tom Petty And The Heartbreakers nei confronti della MCA, propone di interrompere il lavoro sul disco nuovo e produce le sessions dalle quali scaturiranno le due canzoni “aggiunte”: Mary Jane’s Last Dance e la cover di Something In The Air dei Thunderclap Newman, un gruppo inglese scoperto e prodotto da Pete Townshend alla fine degli anni sessanta. La prima delle due è un brano eccellente, piacerà moltissimo e farà decollare le vendite del Greatest Hits, che diventerà il disco di Petty più fortunato in assoluto, con più di dieci milioni di copie vendute: nel settembre del 1994 i ragazzi la eseguiranno, riscuotendo enormi consensi, agli MTV Awards (dove ritireranno il premio per il miglior video), ma la sera successiva saranno da Letterman a presentare You Don’t Know How It Feels, tratto da “Wildflowers”, dove Lynch deve ripetere il pigro, ma secco, tempo elaborato da Ferrone su disco. Stavolta è troppo, Stan se ne va sbattendo la porta. La MCA, dato che i cassetti sono pieni di inediti, B sides, demo e versioni alternative di brani assurti a pubblicazione nelle vesti conosciute, decide di rompere gli indugi e sfrutta il momentaneo stop per pubblicare un magnifico cofanetto di ben 6 CD, 3 antologici e 3 zeppi di quel materiale descritto poc’anzi. Se non volete rinunciare alla gioia di possedere tutto ciò che era stato pubblicato dalla MCA potete mettervi in caccia e ricorrere all’acquisto di questo “Playback”, ma se aveste già in casa tutti i dischi, sappiate che qui trovereste gioielli assoluti (Casa Dega, le versioni “Spezzacuori” di Stop Draggin’ My Heart Around e Ways To Be Wicked) e persino la Mudcrutch (ricordate?) version di Don’t Do Me Like That: imperdibile. Ma torniamo a, Rubin che ha in serbo una sorpresa per i ragazzi e il loro nuovo batterista: The Man In Black, mr. Johnny Cash.
8. American Recordings
“Wildflowers”, seconda prova solista del leader si rivelerà un disco formidabile, un esercizio di stile che fa breccia nel cuore di tutti gli appassionati. Le vendite sono ancora a livelli di eccellenza (nel primo anno di uscita supera i 3 milioni di copie solo in U.S.A), le canzoni sono eccelse (oltre alla già citata You Don’t Know How It Feels, ci sono anche You Wreck Me e It’s Good To Be King, ma tutte sono ampiamente oltre la media) e l’album è probabilmente il capolavoro di Tom Petty. Rick è entusiasta dell’amalgama sonoro degli Heartbreakers, potente quando necessario ma raffinato dalle performance dal vivo (durante le quali vengono interpretati brani altrui di ogni genere, dal rockabilly, al country-folk fino al soul-funk degli anni ’70) e, avendo in animo di omaggiare, rivitalizzandola, la carriera di Johnny R. Cash, chiede proprio alla band di partecipare alle registrazioni del secondo volume della serie "American Recordings", dopo l’expoit inatteso, tanto in termini di critica (l’album era stato disco dell’anno per un’infinità di testate) quanto di successo commerciale (da quanto un disco per sole voce e chitarra non saliva così in alto in classifica?), del primo. “Unchained” (1996 (foto a sinistra) si rivela un altro successo, contiene la riproposizione di Southern Accents e il lavoro di Tom e i suoi pards viene universalmente celebrato e le sessions saranno così produttive che per anni verranno inseriti brani tratti da esse nei capitoli successivi e nei cofanetti che le riguardano. A margine di queste collaborazioni, i ragazzi trovano anche il tempo di realizzare la colonna sonora del film “She’s The One” (1996), che verrà certificata disco d’oro in virtù di splendide canzoni (Walls e Angel Dream, entrambe proposte in due versioni differenti), un paio di cover ben scelte (Change The Locks di Lucinda Williams, con la quale Petty instaurerà una profonda amicizia, e Asshole di Beck) e ospiti di peso (Lindsey Buckingham, Ringo Starr e Carl Wilson) e un diverso produttore: George Drakoulias. Ma Tom non è contento: i fantasmi lo perseguitano da tempi lontani.
9. Padri, mogli, droghe e nuovi amori
Da sempre molto protettivo nei confronti della vita privata e della sua famiglia, Petty non parlava volentieri dei propri problemi, ma nel 1996 tutto cominciò a sgretolarsi. Jane Benyo, la fidanzata dei tempi di scuola che aveva sposato ventidue anni prima, subito prima di partire per la California, da qualche tempo è diventata ossessiva, paranoica, persecutoria nei confronti di Tom e delle loro due figlie: gli anni passati ad aspettare il marito in tournée si fanno sentire, la donna è a pezzi, ha trovato conforto nella bottiglia e non si è fatta mancare droghe varie. Dylan ha appena chiesto agli Heartbreakers di tornare in tour con lui, ma Petty è propenso a declinare l’offerta per stare vicino a Jane. Sarà la vecchia amica Stevie Nicks a convincerlo a partire comunque portando la moglie con sé, dato che le ragazze sono ormai abbastanza grandi e farebbe bene anche a loro vivere per un pò lontane da quella madre fuori controllo. Le date si susseguono, Jane e Tom passano un buon periodo insieme, sembrano tornati a dieci anni prima, quando lei e le bimbe avevano viaggiato con la band, sempre a seguito di Bob Dylan (chi scrive assistette alla data di Torino del 1987: posizionato dietro il palco da una gestione degli spalti del Palasport scellerata, ebbi comunque la possibilità di assistere a uno spettacolo nello spettacolo, con Jane e le bimbe proprio davanti a me, saltanti e danzanti lungo tutta la performance). Ma il risultato, appena rientrati, è l’allontanamento da casa di un Petty pieno di sensi di colpa, un uomo che ripensa alle botte e agli abusi psicologici subiti dal padre in gioventù, sino a quel punto allontanati dalla memoria, un uomo ostaggio dei ricatti morali perpetrati da una moglie che lo chiama continuamente minacciando il suicidio. Un uomo che a quarantasei anni precipita nel tunnel dell’eroina. Non che la rock and roll life condotta fino a quel punto ne fosse stata scevra, ma mai roba così pesante si era insinuata nella sua vita. Un periodo devastante nel quale, però, si accende una luce, seppur inizialmente fioca: Tom ha iniziato a frequentare Dana York, anch’ella reduce da un divorzio, e cerca di tenerle nascosta la dipendenza. Ma Dana è figlia di un tossico, conosce bene la situazione e gli effetti che ne conseguono e lo mette davanti alla necessità di riabilitarsi: Tom entra in clinica e ne esce un uomo nuovo, che ritrova il rapporto con le figlie lasciandosi alle spalle il brutto e recuperando il buono che la vita gli aveva riservato. È ora di prendersi una pausa per rigenerare fisico, mente, cuore.
10. Osservare il mondo dall’alto
L’ultimo album vero e proprio a nome Tom Petty & The Heartbreakers risale al 1991, l’ultima volta in studio al 1996 per “She’s The One” e il lavoro con Cash. Verso la fine del 1998 Petty si accorge di aver scritto abbastanza canzoni da poter realizzare un album: il divorzio e tutto ciò che ne era conseguito sono stati fonte di ispirazione. La band entra in studio e nell’aprile del 1999 viene pubblicato “Echo”, ancora prodotto da Rick Rubin. L’album finisce di nuovo nei Top Ten, diventa disco d’oro in pochissimo tempo e conferma la statura di Tom quale autore, sempre più maturo e profondo, ma ribadisce anche la natura di disco “di gruppo”, vantando per la prima (e unica) volta una performance canora di un altro elemento: Mike Campbell, che fino a quel momento non aveva mai partecipato neanche ai cori, scrive e canta I Don’t Wanna Fight. Anche la copertina riporta nuovamente un’immagine di gruppo, benché sfocata e priva del batterista Steve Ferrone, per ora indicato nei credits come “aggiunto”, al pari di Scott Thurston, anch’egli entrato nella band nel 1991 (proveniente da collaborazioni varie: Iggy & The Stooges, Motels, Jackson Browne e molti altri), come se Tom volesse riconoscere ai più fedeli lo status di “veri Heartbreakers”. Le canzoni sono tutte scritte dal solo Petty (tranne quella di Campbell, ovviamente) e riflettono argomenti così personali da non essere suonate durante la tournée successiva e raramente in seguito. Room At The Top, Free Girl Now (titolo eloquente) e Swingin’ saranno i singoli, nonché le migliori del lotto. Un album fiero, compiutamente “rock” come quelli degli anni ’70 e ’80. È ora di tornare a macinare concerti, ma ancora una volta un pezzo verrà perso lungo la strada: Howie Epstein è da tempo infognato con l’eroina, ma nonostante le insistenze di Petty rifiuta di disintossicarsi. Un nuovo divorzio in casa Heartbreakers diventa inevitabile: Tom, che ne è appena uscito, non accetta che Howie si trascini dietro quella scimmia e lo licenzia, sperando che lo shock lo aiuti. Torna in scena Ron Blair, ma il povero Epstein morirà di overdose nel 2003.
11. L’ultimo DJ decreta la morte del rock, ma i vecchi amici rimangono nel cuore
Se c’è un elemento che non abbiamo ancora affrontato, si tratta dell’assenza di temi politici all’interno di testi delle canzoni del biondo di Gainesville. Contrariamente ai songwriters della sua generazione, Petty non ha mai inserito elementi socio-politici nei suoi racconti, benché alcuni risvolti dei personaggi tratteggino la perdita di purezza del Sogno Americano. Essendo parzialmente di origine pellerossa (unica testimonianza pubblica in tal senso la sleeve interna di Full Moon Fever, nella quale è raffigurato in un disegno nel quale indossa un copricapo da capo indiano), non fa specie che abbia aderito a cause principalmente legate ai temi ambientali. Prova ne sia partecipazione a No Nukes, il mega concerto che nel settembre 1979 aveva radunato attorno al suo ispiratore, Jackson Browne, una moltitudine di artisti prevalentemente californiani e aderenti al MUSE (Musicians United for Safe Energy) per sensibilizzare il pubblico sul tema dei rischi dell’energia nucleare, conseguentemente all’incidente di Three Mile Island di sei mesi prima (quello che ispirò a Bruce Springsteen la canzone Roulette, mai pubblicata ufficialmente fino all’uscita del cofanetto di inediti “Tracks”, 1998). Gli Heartbreakers appaiono nel film e relativo doppio album con una intensa cover di Cry To Me, dal repertorio di Solomon Burke. O quando condusse una strenua battaglia con la MCA per mantenere un prezzo basso per la vendita di “Hard Promises” (ispirato dai Clash, che avevano pubblicato qualche mese prima il triplo “Sandinista!” imponendo alla CBS di venderlo al prezzo di un doppio). O, ancora, la pubblicazione del singolo Peace In L.A., scritta e registrata in tempo reale in seguito ai disordini che misero Los Angeles a ferro e fuoco nel 1992: esterrefatto per quanto stava vedendo in televisione, immediatamente telefonò ai membri del gruppo accordandosi per una session, scrisse di getto la canzone e pubblicò il brano, donandone i proventi a un fondo di assistenza per le vittime e i loro famigliari. “Sentivo di dover fare qualcosa”, fu l’unico commento di Tom. Ma ora, al cambio di secolo e di millennio, Petty sente che il mondo al quale apparteneva, quello del rock come lui lo ha conosciuto, quello di Elvis e della British Invasion, dei Beatles e di Van Morrison, quello del soul e del folk, sta scomparendo, triturato da un’industria che non sa cosa farsene di Artisti e operatori “old style”. Per la prima volta, deluso da questa nuova concezione del mondo culturale e musicale, Tom si butta in un progetto di denuncia e concepisce “The Last DJ”, disco e canzone che raccontano la storia dell’ “ultimo DJ”, quello che si sente ancora di scegliere la musica da mandare in onda, che si sente ancora libero di esprimere le proprie idee, di dire quello che sente di dire, indipendentemente dalle corporations che acquisiscono le radio per renderle un loro veicolo promozionale, un mezzo di propaganda del proprio credo “industriale”, o rispetto alle grandi compagnie discografiche, incapaci di riprendere il timone in un mare che potrebbe decretarne la fine. Non tutti i brani dell’album riguardano questi argomenti, ma il livello qualitativo è decisamente inferiore ai precedenti. Il disco non viene apprezzato dalla critica, ma anche il pubblico non tributa gli onori riservati ai precedenti, nonostante canzoni più che discrete quali la title track, Dreamville, You And Me, Have Love Will Travel. Per dimostrare che il lavoro meritasse più di quanto raccolto, come già era accaduto per “Southern Accents” e il seguente disco dal vivo più VHS, viene pubblicato un DVD girato durante un concerto all’Olympic di Los Angeles, al quale è allegato un CD contenente alcune outtakes: in effetti, viste nella loro esecuzione dal vivo, le canzoni guadagnano qualche punto. Ma Tom, rimasto fermo qualche tempo, sente che è di nuovo ora di dare una sterzata e sente il bisogno di recuperare la freschezza degli esordi: ricordate che vi avevamo detto di tenere a mente un nome? Esatto: Mudcrutch! Siamo nel 2008 e Petty richiama Tom Leadon e Randall Marsh, riprende in mano il basso e regala ai vecchi sodali la gioia di veder pubblicato un disco recante in copertina la gloriosa sigla. Seguirà un tour nel quale i ragazzi si divertiranno non poco a presentare il materiale dell’album, a registrare un ottimo "Extended Play - Mudcrutch Live!" e tanto altro. Quindi Petty torna a guardare al suo microcosmo, a riflettere a livello personale, torna a girovagare in auto: è di nuovo ora di pubblicare un album solista.
12. Grazia salvifica e ritorno a Gainesville
“Highway Companion” esce in piena estate del 2006, quando Petty comincia a fare i conti con il passare del tempo, la vecchiaia incipiente, la necessità di guardare serenamente al futuro che rimane senza rinunciare ai ricordi (Flirting With Time, This Old Town). Nonostante il ritorno di Jeff Lynne in cabina di regia, l’album è distante dai suoni che avevano caratterizzato Full Moon Fever e “Into The Great Wide Open”, forse in virtù del fatto che sia suonato quasi interamente da Tom, con un piccolo aiuto del solito Campbell (che produce assieme a Lynne e Tom) per qualche chitarra e di Jeff, anche lui a destreggiarsi tra qualche overdub di chitarra e tastiere, e contiene ottime canzoni (Ankle Deep e Jack). Pur non raggiungendo i vertici dei precedenti lavori solisti di Petty, il disco fila che è una bellezza ed è esattamente quanto promette il titolo: un perfetto compagno di viaggio. Ma è già ora di anniversari importanti: tra una cosa e l’altra, gli Heartbreakers sono in giro da trent’anni: impossibile rinunciare a una celebrazione in grande stile. Nonostante dal 1990 in poi siano usciti vari DVD antologici contenenti i video o di interi concerti (tutti eccellenti), Tom e compagni sentono la necessità di “riportare tutto a casa” e, contattato Peter Bogdanovich, realizzano un documentario con interviste e favolosi filmati di repertorio su due dischi, ai quali si aggiunge un concerto in quel di Gainesville, ripreso magistralmente, con un audio pazzesco e la band in stato di grazia.
13. Al servizio della band
Il DVD, "Runnin' Down A Dream", ottiene premi e riconoscimenti, Petty è orgoglioso dei ragazzi e decide che, d’ora in poi, le sue canzoni saranno concepite in base al suono della band, come se si trattasse di un gruppo garage dedito al rauco rock-blues col quale si cimenta ogni formazione di entusiastici esordienti. Le tournée del periodo sono ancora più infarcite di cover, il suono è sempre più travolgente. Manca una adeguata rappresentazione dei progressi degli Heartbreakers nel corso degli anni, ma il riascolto dei nastri accumulati nei trent’anni (1978-2007) durante i quali i concerti sono stati registrati lascia esterrefatti per la qualità del suono e delle performance. Si opta per un quadruplo CD, un totale di 48 tracce, praticamente il massimo ricavabile in termini di amore nei confronti dei fans, anche se il top è rappresentato dalla Deluxe Edition, contenente un quinto CD (che aumenta a ben 60 i titoli presenti), un LP (riedizione di “Official Live ‘Leg”, un promo dal vivo del 1976, all’epoca riservato alle radio e agli operatori di settore), due DVD (un concerto di capodanno del 1978 e un documentario sul tour di “Wildflowers”), un libro e memorabilia varie. Quando “The Live Anthology” compare nelle vetrine dei negozi, nel 2009, quasi non ci si crede: le performance si susseguono in ordine sparso, senza un ordine cronologico ma piuttosto secondo una scaletta che le renda fruibili come se si trattasse di un unico concerto. Una festa, un’orgia di rock’n’roll che mescola perle del catalogo e cover inattese e lascia stremati e felici, con gli occhi contenti come quelli dei bimbi sotto l’albero di Natale. Ora bisogna incanalare quell’energia in un disco, un album in studio che esalti il valore della migliore live band del mondo. Tom si mette a scrivere “a soggetto” e realizza una serie di brani adatti al suono che vuole ottenere, un suono che consenta alle individualità di esprimersi. “Mojo” viene pubblicato nel giugno 2010 e mantiene quanto promesso nelle intenzioni: è l’album più psichedelico della produzione di Tom Petty & The Heartbreakers, ma anche quello più vicino al rock-blues di matrice inglese, benché rimanga profondamente americano per via di quel gusto nell’improvvisazione che ricorda esperienze del passato (Grateful Dead, Quicksilver Messenger Service, Allman Brothers Band). Le canzoni non sono memorabili (ma le prime quattro, Jefferson Jericho Blues, First Flash Of Freedom, Running Man’s Bible e The Trip To Pirate’s Cove sono favolose), ma il disco regge e mantiene un certo appeal sul pubblico. Ora si tratta di aggiustare il tiro sulla composizione.
14. Un piano B per il Sogno Americano
Ancora una volta, una selezione tratta dalla tournée che fa seguito a Mojo verrà eternata in un disco, “Kiss My Amps Live”, che verrà pubblicato nel 2011, solo in vinile (limitato e numerato: se ne avete una copia possedete una piccola fortuna), a dimostrazione che le canzoni dell’album erano quanto di meglio si potesse offrire a un simile gruppo di rockers. Ma Petty comincia a rimuginare: ha superato i sessant’anni, trentacinque dei quali passati quasi costantemente in giro a suonare, ha dato la sua vita per inseguire quel sogno, quello che gli fece incontrare Elvis e gli cambiò la vita. Sa che non potrà continuare a lungo a suonare in maniera così potente, dovrà rallentare: meglio battere il ferro finché è caldo, meglio tornare in studio per un altro fottuto rock’n’roll record. “Hypnotic Eye” esce a fine luglio del 2014 e viene inaugurato da American Dream Plan B, un brano teso, quasi garage, che torna a denunciare il rimpianto per un’America che non c’è più. L’album prosegue su standard elevati, a dimostrazione che nonostante l’avanzare dell’età i ragazzi sono ancora in palla e hanno ancora in corpo sufficiente birra per staccare gli immediati inseguitori (Fault Lines, All You Can Carry, Forgotten Man) e Tom si toglie lo sfizio di suonare la solista in un paio di brani. C’è spazio, comunque, per ballate jazzate (Full Grown Boy, Sins Of My Youth) o gioiellini psichedelici (Power Drunk): un altro grande disco, insomma. È venuto il momento di considerare che al prossimo giro scatteranno i quarant’anni di attività, Tom e i ragazzi vogliono celebrarli con una tournée sontuosa, com’è nel loro stile. Ma rimane ancora un pò di tempo e Leadon e Marsh hanno composto un paio di canzoni, anche Campbell avrebbe una cosina che vorrebbe interpretare anche vocalmente: i Mudcrutch si trovano così già pronti per un nuovo album, "2", che esce a otto anni di distanza dal precedente (2016), ma non sembra che il tempo sia passato, tanta è la freschezza che promana dai solchi. Ora, però, è tempo di festeggiare: Tom Petty & The Heartbreakers e i loro quarant’anni on the road, concerti ancora una volta straordinari, purtroppo un’unica data in Europa nel 2017, a Londra per chiudere il cerchio, performance definita stellare da parte di chi ha avuto la fortuna di assistervi, poi il ritorno in U.S.A. per il gran finale. Al rientro Petty dichiarerà: “Questo potrebbe essere il nostro ultimo tour: ho una nipotina che vorrei veder crescere”.
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