Blue Bottazzi Long Playing – La storia del rock / Lato B – Il ritorno del Rock
Passo da una mano all'altra, da un comodino all'altro un libro che mi ricorda quale fuoco ci sia dietro alcuni angoli della mia collezione di dischi, quanto lavoro nel metterli insieme, quei pezzi, uno dopo l'altro, negli anni, ma soprattutto quanta passione risieda in gruppi di album che sono come le macchine di un unico garage, le sedie di un solo tavolo, la frutta in uno stesso cestino. Roba che si assomiglia, o non si assomiglia affatto, ma che genera qualcosa, un sapore unico, un unico rumore, un impasto di colori che diventano un luogo. Nel nostro caso un luogo dell'anima, quella stanza dove entri e c'è la musica. Certi dischi, o certe famiglie di dischi, come prova a spiegarci il validissimo Blue Bottazzi (firma storica del Mucchio Selvaggio quando il Mucchio Selvaggio era quella certa cosa lì) e raccontano un mondo, uno stato d'animo, un unico pensiero, o tanti pensieri che ti conducono nello stesso posto.
Bottazzi stacca dei grappoli dallo stesso gigantesco albero del Classic Rock e mette ordine, un ordine suo ma facilmente condivisibile, che serve a completare la grande storia da lui avviata col volume precedente, che metteva a fuoco gli inizi di tutto. Questo, che chiama speditamente “Lato B: il ritorno del rock”, cristallizza e conserva a futura memoria l'ingresso del rock nella sua vita, che è un po' per noi che leggiamo come mettersi davanti allo specchio e guardarsi mentre ci si sfila una t-shirt e se ne mette un'altra. Un ripasso nostalgico ma nutriente, perché non c'é nulla di meglio che leggere negli occhi degli altri tutti i motivi che ti hanno fatto innamorare di una canzone, che ti hanno legato per sempre a un'etichetta o a una band, che hanno trasformato quell'album e quella copertina nel tuo album e nella tua copertina. Una maniera spicciola per non recriminare se devi comprare un'altra scaffalatura o se uno di quegli scatoloni con gli Lp dalla U alla W resta lì, chiuso, da una paio d'anni, quelli che ti separano dall'ultimo trasloco, ma tu sai tutto di lui e non ti separerai mai da lui, nonostante sia molto più facile regalarlo che accomodarlo dove lo spazio non c'é.
"Long Playing - La storia del rock / Lato B - Il ritorno del Rock" ci racconta ancora una volta la stanza del glam rock dove Ian Hunter (nella foto su a destra) ha lasciato i suoi stivali bianchi con la zeppa, o ci conduce a sbirciare nel sottoscala dove abbiamo riposto i singoli di Tom Petty ed anche quelli di Greg Kihn (meglio "Rendezvous" di "Jeopardy” però). Lasci la scritta rock romantico e ti imbatti nell'insegna Hollywood e la west coast per trovarci sotto, naturalmente un po' su di giri, Tom Waits e Warren Zevon. E poi New Orleans dai balconcini in ferro battuto, con Dr. John, che Bottazzi definisce "pianista vudù con sfumature jazz" perché nei libri talvolta tocca misurare le parole ma sappiamo che di definizioni per quel tipo ce ne sarebbero molte altre. Cento protagonisti e mille comparse, tutti utili, tutti con un ruolo nella gigantesca commedia che è stata il rock'n'roll prima della sua fine: David Byrne dei celebrati Talking Heads come Peter Zaremba dei Fleshtones, all aboard; Lou Reed come Jim Carroll (nella foto a sinistra), degenerati allo stesso modo ma con una luce diversa a illuminarli, all aboard.
Colpisce quel distacco che vuole invece magnificare tutto rendendolo storia. Quel passato remoto che trasforma ogni quartetto nel Mount Rushmore, ogni corista in una statua che danza al centro di una fontana. Tutto è storia. La loro ma anche la nostra. Devasta, perché è vero, che "la fine dell'epoca leggendaria inaugurata con Rock around the clock", il chiudersi la tenda di velluto viola, venga fatta coincidere con la pubblicazione di “Blackstar” di David Bowie. L'artista che mette il sigillo e poi muore. Facciamocene una ragione: nulla sarà più come prima.
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