ItalRock – 3
Per questo suo quarto disco di inediti il toscano Ivan Francesco Ballerini si è avvalso ancora una volta della produzione di Alberto Checcacci e degli arrangiamenti di Giancarlo Capo. Il titolo del disco, "La Guerra È Finita", purtroppo quanto mai attuale, ben ci indirizza alle tematiche e alle atmosfere delle nove canzoni scritte da Ballerini e che rappresentano un malinconico e romantico inno alla pace e all’amore, non si tratta infatti di un disco politico, ma il messaggio è filtrato dalle emozioni e dai sentimenti intimi e personali. Anche lo stile asciutto ed essenziale di queste canzoni è funzionale a far emergere le capacità emotive ed espressive dei testi e gli arrangiamenti sono coerenti con questo intento. Ballerini non ama i toni forti, non urla, ma proprio per questo colpisce chi lo sa ascoltare. C’è una canzone, Linea D’ombra, che è un po’ il suo manifesto poetico, «tenersi lontana dal mondo e al riparo dal giudizio degli altri», perché oggi è necessario per salvaguardare la propria umanità appartarsi dal frastuono della modernità e delle mode. C'è qualcosa di antico, di legato alla terra nella sua musica che lo fa apparire lontano dalla contemporaneità, ma proprio per questo quanto mai attuale, perché la sincerità batte sempre l’apparenza.
(Ignazio.Gulotta) Voto 7
Il power trio brindisino Migraine fondato dal batterista Jordan Rech con Alex Pagano al basso e Vinnie Brown chitarra e voce pubblica in autoproduzione “Un’Abitudine”, dieci tracce originali cantate in italiano. La loro musica, trascinata da una batteria che a forza e potenza aggiunge una notevole sensibilità per il ritmo coadiuvata dal basso e dai riff di chitarra taglienti e furiosi, affonda le sue radici in una miscela rabbiosa di stoner, grunge, con lampi di hardcore e sporchissimo blues. Se il primo nome che viene in mente come fonte di ispirazione sono i Queens Of The Stone Age ci sono anche echi di Seattle o della John Spencer Blues Explosion o dei Viagra Boys, il che non toglie personalità ai Migraine, grazie anche ai testi italiani e al cantato che non eccede in ruvidezza e non rifugge da certo lirismo, in Era E Marlboro, rendendo comprensibili i testi non banali che rendono credibile il loro grido contro il conformismo e la banalità dell’edonismo, «Ma voglio molto di più di un’abitudine» urla la trascinante title-track. Segnaliamo il cupo e psichedelico strumentale The Heights Of Summer, che dimostra la duttilità della band, il blues acido Tatooine, il post punk funkeggiante di Linda. Esordio più che convincente.
(Ignazio Gulotta) Voto 7
“Orione” è il disco di debutto del cantautore fiorentino Matteo Nativo che vi giunge superata la cinquantina e dopo un intenso studio del fingerpicking e varie esperienze musicali. Il disco esce per la RadiciMusic, etichetta dedita alla scuola cantautorale fiorentina e al disco collaborano diversi musicisti di quella scena da Gianfilippo Boni alla direzione artistica a Silvia Conti ai cori, che ha anche tradotto Jockey Full Of Bourbon di Tom Waits, a Bob Mangione all’armonica. Di Tom Waits Nativo fa anche, tradotta da lui, Clap Hands, il musicista americano assume un po’ il ruolo di ispiratore di un musicista che deve molto all’America dove ha vissuto a lungo. In entrambi i casi è riuscita l’ardua impresa di rendere in italiano le due canzoni senza perdere il loro sapore prettamente americano. Sono invece inedite le altre sette canzoni di “Orione”, canzoni fortemente evocative con le loro influenze country folk, la delicata Ovunque Tu Sarai immersa in un dolce mood nostalgico, o incupite dalla desolazione nel disegnare il panorama di una città distrutta in Oradur che ricorda lo stile di Massimiliano Larocca, o dalla scintillante vena rock blues di Un’Altra Come Te, il contagioso pop di Fantasma, la sommessa e crepuscolare title-track che chiude un disco sincero, pulito come il raffinato fingerpicking di Nativo.
(Ignazio Gulotta) Voto 7.5
Ritorna con un Ep di 4 brani, "Per Te Che Non Ci Sarai Più", Adele Altro, in arte Any Other, da lei scritto, arrangiato e coprodotto con Marco Giudici, pubblicato dalla 42Records. Un disco scritto di getto che ha come filo conduttore il tema della perdita e le varie strade per reagire, che sia un lutto, una separazione si deve trovare il modo di andare avanti. L’Ep è intimo e personale e forse non è un caso che per la prima volta in dieci anni l’autrice si sia espressa in due brani in italiano, gli altri due sono in giapponese e inglese. Occasionato dalla scomparsa di un animale domestico e di un caro amico, per raccontare il suo stato d’animo Any Other sceglie una via sfumata, nebbiosa, come la copertina del disco, quindi c’è malinconia, incertezza, nostalgia, come nella bella title-track il cui testo è costituito da una serie di domande sullo smarrimento che colpisce chi ha subito una perdita, ma non si calca sul dramma, quanto sui sentimenti e sulla riflessione. Nelle quattro canzoni l’artista si espone in tutta la sua fragilità, con sincerità e con commossa serenità nel brano in giapponese このままでいい o nello scarno dream pop di Lazy, ma il vertice emotivo è raggiunto oltre che dalla già citata title-track nell’altro brano in italiano Distratta il cui fulcro è nel verso ossessivamente ripetuto «in un giorno come questo il sole è un insulto alla tua assenza». Il disco conferma la musicista veronese come una delle voci più mature e interessanti della scena indie italiana.
(Ignazio Gulotta) Voto 7.5
Esce per Brutture Moderne l’esordio del musicista bolognese Paolo Prosperini, "Per Amore O Per Mancanza Di Idee Migliori", un Ep di 5 canzoni che ci trascinano in un universo senza tempo e immaginifico grazie ad arrangiamenti che spaziano fra Brasile, ritmi caraibici, atmosfere da night club e a testi che ci parlano delle varie sfaccettature con cui affrontiamo il mistero dell’amore e le difficoltà nei rapporti sentimentali. Ciò che subito cattura è il sapore vintage di queste canzoni che ci rimanda ai cantautori italiani degli anni '60 a partire da Marabout, perfetto brano da lounge music, si ascolti il bell’hammond, sensuale e malinconico al tempo stesso, più intimista anche nell’arrangiamento di Nel Buio, sulle difficoltà di parlarsi «Lavare i piatti è solo una scusa per non guardarsi per un po’», i ritmi caraibici accompagnano la frizzante title-track, toni quasi melodrammatici per la delicata dichiarazione d’amore in Piccolissima, chiude Allie Tosy, brano non privo di ironia e che ci conferma che più che a Capossela, come dichiarato dall’autore, ci sembra che sia da avvicinare per la melodiosa e contagiosa dolcezza del canto a Erlend Øye. L’Ep prevede una seconda parte che uscirà nel corso di questo anno.
(Ignazio Gulotta) Voto 7
Power trio formato da navigati musicisti torinesi provenienti da Titor e Fratelli di Soledad, Fiori giunge al secondo lavoro, "Distinti Saluti". Il precedente “L’Eleganza” era del 2019, il loro è un rock granitico e abrasivo con influssi che vanno dal post punk all’hardcore, con legami con la scena concittadina dei Negazione e dei Kina. Di questi ultimi mantengono la radicalità con cui affrontano i temi della società contemporanea. Testi contro il conformismo Pensa, il dilagare del consumismo e l’ansia del possesso in Comprami Le Cose, il modo in cui il potere ti cambia nella sferzante Corpi A Sangue Freddo, in questo contesto riluce la convincente cover di Meri Luis di Lucio Dalla che ben esprime la voglia di ribellarsi al triste tran tran della vita. Efficace nella sua consonanza fra testi e musiche grondanti entrambi rabbia e opposizione al mainstream, il disco è una convincente dimostrazione del fatto che di punk-rock genuino e ribelle abbiamo ancora bisogno.
(Ignazio Gulotta) Voto 7
Terry Blue è un duo italo svizzero formato da Leo Pusterla (voce, chitarre e synth) ed Eleonora Gioveni (voce e synth), questo nuovo lavoro, "Lakewoods", esce per la label francese Another Music Records. «Lakewoods sono i boschi di lago ticinesi, i paesaggi dai quali siamo voluti scappare per poi anche tornare. Ma sono anche paesaggi allegorici che riconducono certo alla nostra geografia, ma possono rappresentare quella zona grigia, quello spazio di crisi e sofferenza che tutti noi attraversiamo» così si è espresso Pusterla chiarendo l’intento e le atmosfere del disco. Diversi brani prendono spunto da paesaggi incontrati e intensamente vissuti e che assurgono a metafora di una condizione fatta di insicurezza, di dolore, di malinconia, un salice secolare eradicato (Outfalls), un ghiacciaio che scompare (Gone Glacier) o le terre assolate del catanese (Comebacks e Hauxes) o le sponde del lago di Lugano (Lakewoods) sono occasioni per una riflessione sul presente, sono paesaggi sonori precari, desertificati in cui serpeggia l’inquietudine e il pericolo. Altri si basano sul dolore provocato dalla scomparsa di un caro amico (Fragile Friend e Deja Vu), l’Olocausto (Minoux), il film "Perfect Days" (Wenders), le distorsioni causate dalla società dell’apparenza e dai social (Cegueira e Glitch). Lavoro affascinante e coinvolgente che potremmo definire elettroacustico, sia per il mix di synth e strumenti come piano, violoncello, chitarre, sia per l’approccio cantautorale che lo caratterizza.
(Ignazio Gulotta) Voto 7.5
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