Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo – 50esimo Anniversario Miloš Forman
Regia di Milos Forman. 1975 - Con Jack Nicholson, Louise Fischer, Redfield, Will Sampson, Brad Dourif. Titolo originale: One Flew over the Cuckoo's Nest. Genere Drammatico - USA, 1975, durata 133 minuti. distribuito da Lucky Red.
“Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo”, capolavoro di ribellione che consacra il talento sovversivo di un genio venuto dall’Est. Randle McMurphy scende dall’auto e corre verso i cancelli dell’ospedale psichiatrico. Nel suo volto è incisa una sospetta espressione sardonica, il ghigno beffardo di chi prova a gabbare il sistema. No, non è realmente pazzo: è solo convinto che la scure penitenziaria sia più dolorosa delle lamette di un sanatorio. O forse sì, è tremendamente folle. Il più folle in assoluto. Perché il sistema non si lascia ingannare, e reprime con durezza ogni sogno di anarchia. Perché il manicomio non è altro che una diramazione del potere, e accoglie i suoi ospiti con l’abbraccio stritolante di una camicia di forza. Miloš Forman presenta così il nido del cuculo: un palazzo asfissiante dove il leviatano imprigiona i suoi piccoli, dissimilando la brama di controllo con il senso di protezione riservato da un padre amorevole. È il 1975: in entrambi i blocchi divisi dalla cortina di ferro riecheggiano – pur con voce sempre più flebile - quei cori sessantottini che, con alterne fortune, rivendicano un netto cambiamento dello status quo. Qualche anno prima, Forman si accingeva, un po’ per scelta, un po’ per spirito di sopravvivenza, ad attraversare lo spartiacque tra i due mondi. Come Milan Kundera, al pari di ogni artista cecoslovacco che non vuole dismettere l’onestà intellettuale, entra rapidamente nella lista di proscrizione della dittatura sovietica. Si risveglia bruscamente dal sogno di una rivoluzione tradita, e stemperata nell’incubo di una burocrazia tentacolare. Lascia la terra natia al tramonto della Primavera di Praga, quando il grido di libertà di un popolo viene strozzato dall’incedere dei carrarmati. Il regima boemo, prima della fuga dalla povera patria, si fa promotore di un terremoto artistico. Negli anni Sessanta diventa una delle firme più importanti della Nová Vlna, la corrente innovativa della Settima Arte cecoslovacca: un linguaggio che unisce gli elementi tipici del neorealismo (con particolare riferimento agli attori scelti tra la gente comune) a quella dose di ironia sottile che si rende indispensabile per eludere il giogo della censura. “L’Asso Di Picche”, “Gli Amori Di Una bionda”, “Al Fuoco, Pompieri!”: tre titoli per mettere a nudo i limiti di un apparato ripiegato su se stesso. I giovani si sentono oppressi dal peso di un’educazione volta a plasmare dei soldatini modello, scevri di pulsioni proprie. I sentimenti vengono sottratti alla disponibilità dell’individuo: è il partito a dirigere le relazioni per favorire la grandezza del popolo. La tutela dei deboli è soltanto uno specchietto per le allodole: qualunque cittadino è sacrificabile sull’altare dell’immagine statale. Quell’immagine che non ammette sfocature. Miloš Forman conserva le ferite dell’Est Europa e, soprattutto, la natura irriverente anche dopo lo sbarco negli States. L’esordio hollywoodiano alla regia – la parabola postsessantottina di “Taking Off” – mostra la capacità del regista di adattarsi al nuovo contesto senza tradire la sua grammatica cinematografica.
Lo spauracchio del totalitarismo resta impresso negli occhi dell’artista. Le indomite istanze rivoluzionarie raggiungono la massima espressione nelle gesta di Randle McMurphy. Il potere costituito da sovvertire, invece, alberga nello sguardo pietrificante di Mildred Ratched, l’infermiera capo dell’ospedale. Una donna gelida, carente di empatia, che gestisce i pazienti con protocolli rigidi. Miss Ratched non agisce, di per sé, con intenzioni malvage: è intimamente convinta di adottare le soluzioni migliori per il trattamento dei ricoverati. In fondo, ogni despota si autoattribuisce la paternità della ricetta migliore per il bene del popolo e, per l’effetto, ritiene di meritare consenso e gratitudine per quanto concede ai sudditi. La conservazione del potere, che rimane (più o meno consapevolmente) la priorità del sistema, è legata a doppio filo a un’importante dose di manipolazione della psiche, nonché a una corposa squadra punitiva. Nel momento in cui una mina vagante rischia di compromettere la stabilità dell’apparato, scattano i meccanismi difensivi. Randle McMurphy è irrequieto, imprevedibile, ingovernabile: un Jan Palach dell’ospedale psichiatrico. La sua condotta sopra le righe rischia di contagiare i compagni di istituto con idee balzane. E così, da un lato, lo Stato-Ratched mira a plagiare le menti più suggestionabili al fine di isolare l’elemento di disturbo. Dall’altro, non esita ad aizzare i suoi scagnozzi (rectius, soldati) per amputare le intemperanze del dissidente McMurphy. La fine ingloriosa del protagonista potrebbe essere un’allegoria dell’ingresso delle armate sovietiche nella capitale cecoslovacca.
La dittatura, ancora troppo forte e ben ramificata, riesce a imporsi, ad onta della progressiva formazione di una coscienza collettiva (i malati, infatti, pur attanagliati dalla paura, tifano per la caduta del regime di Miss Ratched). Ciononostante, un sistema fondato precipuamente sul terrore è destinato a implodere. Gli echi libertari sopravvivono ai loro portavoce, a coloro che pagano a caro prezzo il coraggio della ribellione. Qualcuno raccoglierà l’eredità di McMurphy, e riuscirà ad aprire una breccia nella cortina di ferro. E potrà correre, gioioso, irrefrenabile, verso nuovi orizzonti di luce. “Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo” è molto più di un’opera di denuncia sociale avverso la disumanità delle strutture psichiatriche. È un vero e proprio grido di dolore lanciato da un artista che sogna un futuro migliore per la propria terra. Un urlo che attecchisce in Occidente, in un America lacerata dalle ferite del Vietnam e dalle tante iniquità che le utopie sessantottine non hanno eliminato. Pietra miliare della Nuova Hollywood, unanimemente considerata – insieme al biopic “Amadeus” – l’apogeo del cineasta, la pellicola rientra nel ristrettissimo novero di opere capaci di aggiudicarsi i cinque Oscar principali (film, regia, attore protagonista, attrice protagonista, sceneggiatura). In precedenza, l’impresa era riuscita soltanto – nel lontano 1935 – ad “Accadde Una Notte”. Negli anni a seguire, i “Big five” saranno conquistati unicamente dal cult movie “Il Silenzio Degli Innocenti”. La personalità multiforme di Randle McMurphy proietta il gigantesco talento di Jack Nicholson nell’Olimpo attoriale. Un fuoriclasse indiscusso, già consacrato da numerose performances di altissimo livello (ricordiamo, tra le altre, le vette di “Easy Rider”, “Cinque pezzi facili” e “Chinatown”), si aggiudica la prima statuetta della carriera ed entra di diritto tra i più grandi interpreti della storia della Settima Arte. Di pari pregio risulta la recitazione di Louise Fletcher, impeccabile nell’espressione del volto glaciale delle posizioni di comando. Il profilo dell’attrice, purtroppo, rimane imprigionato nel ruolo di Miss Ratched: il prosieguo della carriera sarà avaro di molte delle soddisfazioni che avrebbe meritato. Ad onta del cinquantennio trascorso, “Qualcuno volò sul nido del cuculo” non riesce ad invecchiare. La vis dirompente dell’opera attraversa le epoche, i contesti geopolitici, e trova terreno fertile in ogni aspetto sociale, in qualunque destinatario. In fondo, ognuno di noi rischia di scivolare in detestabili meccanismi di controllo, nell’elevazione di sgradevoli trincee difensive, quando un elemento della vita sfugge alla nostra capacità di gestione, e rischia di alterare una situazione di equilibrio. Le dinamiche di potere costituiscono una parte esecrabile della natura umana. Per questo, il monito di Miloš Forman non può (e non deve) sbiadire.
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