The Chameleons Arctic Moon
[Uscita: 12/09/2025]
Band seminale della new wave inglese degli anni ‘80, ma a rischio oblio e damnatio memoriae. Le leggendarie chitarre dei Chameleons tornano ora a sfidare la piatta quotidianità delle uscite discografiche, e a distanza di quasi un quarto di secolo dall’ultimo album, “Why Call It Anything”, rilasciano alle stampe il loro quinto album da studio, “Arctic Moon”. Alla guida sempre il carismatico Mark Burgess, dalla voce potente e piena di grande personalità. Non si cada nell’errore di andare a rispolverare capolavori quali “Script Of The Bridge”, “What Does Anything Mean? Basically” o “Strange Times”, per applicare codici ermeneutici, o paragoni inopportuni e fuorvianti in rapporto a questa intrapresa sonora. Troppi anni sono passati da allora, troppa magia si è dispersa nell’aria, ma la band di Middleton è ancora in gamba e perfettamente sugli scudi. Dopo un paio di brani, diremmo di assestamento e dalla patina lievemente ossidata, Where Are You?, Lady Strange, in cui i suoni sembrano leggermente frusti e la stessa voce di Burgess non in pieno aureo dispiegamento, i Nostri inanellano una serqua di brani uno più bello dell’altro, a partire da Feels Like The End Of The World, in cui la tessitura armonica recupera e riattinge livelli che parevano sepolti nelle sabbie impietose del tempo, con la voce di Mark che duetta alla perfezione con la trama ammaliante delle chitarre, e proseguendo per la superba ballata semi-acustica di Free, grazie alla quale si comprende il motivo per cui i Chameleons sono considerati degni far parte della leggenda della new wave e del post-punk internazionali. Il brano più bello dell’intero album, però, ad avviso di chi scrive, è Magnolia, è qui che la magia compositiva della band albionica torna a sprigionare i suoi effetti incantatori e seducenti; le note delle chitarre, modulate con sapienza impareggiabile, riportano indietro di un quarantennio le lancette nel quadrante della storia, dando sensazioni da brivido, atmosfere immerse in crepuscoli color ocra ombreggiati dal blu cobalto di lune in dissolvenza. Segue un commosso omaggio al Duca Bianco David Bowie (da sempre nume tutelare e punto di riferimento dell’aedo Burgess), con una morbida ballata come adagiata su cuscini di velluto nero, David Bowie Takes My Hand e, a suggellare un album di gran pregio e di rimarchevole fattura, Saviours Are A Dangerous Thing, brano dall’andatura sostenuta e sapiente, con l’intreccio tra le chitarre e la voce che crea atmosfere accattivanti, così come accattivante e assolutamente convincente è questo graditissimo ritorno discografico dei grandi Chameleons.

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