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16 Ottobre 2025

ItalRock – 7

2025

Anticipato nella primavera 2024 da una manciata di singoli,“One Blood” rappresenta la prima ed inedita testimonianza sulla lunga distanza dei Tarantola. Sostenuto da una significativa gavetta consumata nelle lande d’oltremanica, il collettivo capitanato da Mauro Lacandia convoglia testimonianze live e creazioni digitali in un lavoro stilisticamente multiforme nel quale si lasciano apprezzare featuring di caratura internazionale (Awa Fall, Daddy Freddy e Brass Brothers i nomi di alcuni degli ospiti presenti). Esperienze polifoniche che lambiscono soul, reggae e dancehall, sovente sostenute dagli incalzanti palpiti della taranta; il tutto nel nome della condivisione culturale e musicale, dell’arricchimento sprigionato dal contatto umano. Oltre le latitudini, aldilà delle etnie, consci che il colore del sangue sia sempre lo stesso. Scorrendo la scaletta di questo interessante debut-act meritano una particolare attenzione passaggi come Anche Io Sono Un Migrante, Original Terron ed il trascinante inno resistente Fight For A Change. Unione, cambiamento, contaminazione; il messaggio sonoro dei Tarantola elude così i facili cliché.

(Alessandro Fraschi)  Voto 7.5

 

Gli Howden sono padre e figlio e sono stati invitati da Giulio Di Mauro della Archeological Records, ecco perché lo inseriamo in una rubrica dedicata ai dischi italiani, a inaugurare una serie dedita all’esplorazione delle potenzialità delle pietre musicali. Di Mauro è partito dall’individuazione di Lake District nella Cumbria e ha poi trovato a chi conosceva il luogo ad affidare il lavoro. Così Matt Howden si è meso sulle tracce di un bizzarro personaggio del XVIII secolo, Peter Crosthwaite che vi aveva individuato delle pietre e costruito il primo litofono europeo. Il risultato è un’opera di grande fascino in cui elementi folk, ambient, minimalismo, neoclassica si intrecciano con le poesie del padre di Matt a volte recitate, altre liriche, come nella lunga e coinvolgente Innate Symphonies Of Land dove creano un forte impatto nel ritmo crescente del brano. Fra gli altri brani, di un album che ha comunque una sua coerenza interna, segnaliamo Before Speech dove il suono ancestrrale delle pietre dialoga con un tormentato violino, la nervosa e sperimentale Wodwo non esente da influssi jazz. La serie proseguirà esplorando altre località e a giudicare da questo inizio promette molto bene.

(Ignazio Gulotta) Voto 8

Secondo album significativamente intitolato “Redemption” dopo il fortunato esordio con “Sinners” per la band italiana The Elephant Man dedita a una dark wave potente e oscura e il cui nome scelto indica un’evidente predilezione per le atmosfere inquiete e torbide di David Lynch. Nelle nove tracce la band attinge con abilità a influssi alternative, metal, industrial per creare un affresco dark e inquieto di un mondo malato e pericoloso che corre verso il vuoto (Dance Of The Hollow) mentre i venti di guerra minacciano la nostra stessa esistenza (Sister of War). Merito della voce forte e profonda di Max Zanotti, delle chitarre taglienti e i synth ansiosi di Francesco Tumminelli e di una pulsante sezione ritmica composta dal bassista Ivan Lodini e dal batterista Halle aver creato un disco che colpisce immediatamente e coinvolge chi lo ascolta sia nei suoi momenti più aggressivi e potenti come Lies Are My Perfect Drug o l’incalzante Better! Better! Better!, sia quando sposa momenti più intimi come nel bel duetto vocale con Geogeanne Kalveit in To Myself, sia nella notevole ed enigmatica Echoes che nella torrida e apocalittica Sister of War.

(Ignazio Gulotta) Voto 7.5

Esce per All’Est dell’Equatore l’esordio solista di Ilaria Graziano un album di canzoni intime e sinceri con cui l’autrice fa i conti con se stessa e intesse un intenso colloquio con chi ascolta. Brani come l’iniziale Paradiso accompagnano un testo che è quasi una confessione introspettiva «non guardarmi negli occhi ti prego mentre cerco riparo dal vento» fatta di fragilità e speranza. Il mondo di Ilaria Graziano è sfumato, è fatto di ricerca e non di certezze, come i sentimenti oscilla fra timore e speranza come in Stretti Stretti o in Oltre Le Favole dove fa capolino anche una psichedelia visionaria e spirituale. Sceglie il ritmo battente del bodhràn Cuore e alla tradizione folk popolare e antica si rifà la preghiera dell’intensa Spirito Do Viento cantata in dialetto, come Fuje che si interroga sulla possibilità della fuga, una canzone cui il canto in duetto con Gnut conferisce un’anima malinconica quasi dolente. “Rive” è un esordio convincente, oltre che per i testi e la voce espressiva si fa apprezzare per arrangiamenti che con ricercatezza acompagnano e rendono più intensa la forza espressiva delle canzoni.

(Ignazio Gulotta) Voto 7

Alkord è il ventennale progetto di Alberto Capelli e “Opera Viva” è il quarto lavoro che esce per la label Brutture Moderne. Un disco strumentale a cui oltre a Capelli alle chitarre partecipano Eugenio Gargiola al violino, Silvia Dal Paos al violoncello, Gabriele Rampi al contrabbasso e Stefano Rapicavoli alla batteria, mucisiti di estrazione jazz e classica uniti in questo interessante e vivace ensemble cameristico. Come ci spiega Capelli «il disco trova già nel titolo uno spunto per riflettere sulla vita e sulla morte: ciò che per un’imbarcazione è opera viva per un essere umano è foriero di morte», rimando evidente ai troppi episodi in cui la cronaca ci richiama al dramma dei migranti e dei profughi. Le dieci tracce tratteggiano un paesaggio sonoro di morbida inquietudine e di intensa espressività, che non lasciano emotivamente indifferenti. Si inizia con la tensione di Bulletin Scolaire con la chitarra a dettare il viaggio e le percussioni a mantenere alta la tensione, poi il vibrante jazz rock di Chorinho, la bellissima, scura, intensa Il Lago Buio in cui ogni nota ha una forte suggestione emotiva, la rarefatta progressione armonica di Luci, la struggente Strass. Le atmosfere sospese di Unnecessary Song, la frenesia rock della chitarra di Vanilla fino al minimalismo di Ribelle Placato. “Opera viva” è un concept dedicato a tutti i naufraghi senza volto in cui dolore, speranza, attesa, separazione sono espresse da una musica in equilibrio fra scrittura e improvvisazione e in cui si fondono e dialogano elementi jazz, progressive, di classica contemporanea.

(Ignazio Gulotta) Voto 7.5

Dopo la bella trilogia del viaggio realizzata da Maurizio Vaiani in arte RosGos questo “In This Noise” uscito sempre per Beautiful Losers rappresenta una svolta in chiave minimalista verso una canzone folk rarefatta e desertificata. RosGos con la produzione di Andrea Liuzza ha lavorato per sottrazione onde ottenere un suono quanto più essenziale possibile, scarnificato, niente batteria e basso, una chitarra al centro fra tormentate distorsioni e accordi spettrali e tastiere e campionamenti elettronici. Canzoni fragili che disegnano paesaggi dolorosi e solitari su cui la voce si muove in uno spettro emotivo in cui incertezze, tremori, paure, fragilità sono gli elementi dominanti. Fra le tracce, tutte in inglese, segnaliamo l’ipnotica Before The Day attraversata da onde elettroniche inquiete e poco rassicuranti, lo spettrale piano di In The Dark in cui tutto appare precario e caduco, ma la tensione si alza con un lacerante assolo distorto di chitarra, la melodiosa e stordente Sparkling Night. Album che sposa ottimamente la componente dark già presente nei precedenti album con il songwritng avant-folk per esprimere sia pure in chiave intimista una visione pessimista e purtroppo realista del momento che stiamo vivendo.

(Ignazio Gulotta) 7.5

Ignazio Gulotta, Alessandro Freschi

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