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16 Dicembre 2025

ItalRock – 9

2025

Esordio di un quartetto italo-serbo, Litania, formato da Elisa De Munari alias Elli De Mon, (voce, sitar, dilruba, harmonium) Marco Degli Esposti (chitarre), Enrico Baraldi (basso) e Vlad Markoski (batteria), il disco esce per Heavy Psych Sounds. Veil Of Illusion emblematico dello stile originale e sorprendente della band che crea una fantasmagorica commistione fra durezze doom e raga indiani cui si rifà il canto melodioso della De Munari nelle sue nenie di ascendenza folk. Uno stile personale e di difficile incasellamento in cui trascendentalità, misticismo, tribalismo convivono con riff impetuosi, droni ipnotici, ritmiche aspre e conturbanti come nell’iniziale Manasi Devi. La musica dei Litania, accostabile a band come Om e Black Sabbath, ha un che di epico, maestoso, sa di ancestrale e ha in sé un che di oscuro, minaccioso, una sorta di epifania di un mondo distopico incombente. Dopo il blues psichedelico e il folk in dialetto dei precedenti lavori scopriamo una inedita Elli De Mon a suo agio con sonorità scure e aggressive e sempre abilissima e ispirata nel suo amore per la musica indiana, perché questo dei Litania è uno degli album più belli ascoltati ultimamente, complimenti anche agli altri eccellenti musicisti e alla bellissima copertina del disco.

(Ignazio Gulotta)  Voto 8

Quinto album, "Potlac", per il duo marchigiano Ludmilla Spleen composto da Filippo Brandi voce, chitarre e synth, nonché autore dei testi, e Niki Fabiano Ruggeri, batteria, voce e synth. Il loro è un bruciante noise rock abrasivo ma che sa declinarsi anche su altre strade dall’alternative, alla psichedelia al post rock allo shoegaze. I testi, che delineano uno scenario di smarrimento e irrequietezza con un senso profondo di catastrofe incombente, sono realizzati in gran parte non da frasi, ma da accostamenti di singole parole, creando in chi ascolta suggestioni complesse ed evocative che lasciano ampi margini di libertà emotiva e interpretativa. Aprono il disco i 9 minuti di Delenda fra martellanti tamburi, chitarre fuzz, il clima diventa sempre più incandescente e desolante, Tedia, per chi scrive il brano migliore, con i suoi suoni acidi, sgraziati, industrial ci trascina per 7 minuti in un inferno sferragliante e tormentoso, un senso di angoscia alimentato da una voce monotona in un inquietante falsetto, Feria urla e fra riff infuocati e spietati si consuma un selvaggio rito tribale fra Sepultura e Brujeria. Completano l’album il post punk apocalittico di Latitudine, l’ipnotica, fragile, cupa Buio e il rituale caotico e rumoroso Anschluss fra post rock e allucinazioni psichedeliche.

(Ignazio Gulotta)  Voto 7.5

Con questo quarto lavoro l’ensemble di Marco Campitelli, Oslo Tapes, raggiunge la piena maturità espressiva realizzando un disco di grande impatto in cui kraut, space rock, esoterismo, psichedelia, tribalismo contribuiscono a delineare un viaggio sonoro complesso e affascinante nel quale sono stati coinvolti una decina di musicisti sia italiani (Lucio Piccirilli, Stefano Micolucci) che norvegesi (Emil Nikolaisen, Håkon Gebhardt batterista dei Motorpsycho, la cantante Emilie Lium Vordal), mentre la produzione è stata curata da Amaury Cambuzat. Le dieci tracce cantate in inglese compongono un viaggio interstellare oscuro, enigmatico evocando paesaggi inquieti in cui la tensione è palpabile sia nelle torbide distorsioni che nei versi («Uno di noi è un vampiro l'altro è una sposa nera», «Il cuore è pieno di tombe Il battito è pieno di odio, la nostra casa è crollata sussurrando nel bosco»). La traccia iniziale Inhuman Witch con il suo basso pesante, ritmica metronimica, volute di synth ci immerge nell’atmosfera esoterica del viaggio interstellare, con Analemma raggiungiamo una delle vette espressive del disco, l’unione delle voci di Campitelli e della Vordal creano un effetto ipnotico e androgino che ci proietta verso un mondo alieno, l’inquieta e velevettiana Pyramid Shape, il crescendo spasmodico di In Deep, il sogno lisergico di Tribe Telepathy, la synth wave di Transpace, il morbido e liquido fluttuare nello spazio di Quasistar, Lazarus Awaking con le sue salmodianti onde sonore fra le quali si fanno strada voci irreali chiude uno degli album più belli ascoltati quest’anno.

(Ignazio Gulotta) Voto 8

Il nuovo lavoro del pianista e compositore Lorenzo Cellupica esce per Ma.Ra.Cash, accanto a lui Damiano Drogheo ai sax, Gianfranco De Lisi al basso e Massimo Ceci alla batteria. L’approccio al jazz di Cellupica è molto moderno e raffinato, vi confluiscono infatti influenze classiche e prog che lo rendono fruibile e godibile anche per chi non è esperto del genere. Dal punto di vista compositivo si nota una particolare attenzione alla melodia, come in Music For Four Musicians dove emergono le morbide linee del sax o I Wish To Climb Higher, qui il dialogo fra piano e sezione rItmica si fa particolarmente apprezzare. Affascinanti i 9 minuti della title-track, un jazz fusion che si evolve verso strutture più ardite e geometriche, mentre No Strawberries è un caldo e convincente brano jazz rock e On The Tail Of A Rainbow ha una struttura ritmica complessa che nel finale esplode con richiami alla tradizione mediterranea e al prog.

(Ignazio Gulotta) Voto 7.5

Songs For Abandon” è il nuovo lavoro di Urlo, bassista degli Ufomammut, qui col moniker The Mon, cui seguirà l’anno prossimo “Songs For Embrace”, il disco che esce per Supernatural Cat nasce in un momento di solitudine trascorso sull’isola di Ventotene durante il quale l’autore ha scritto una canzone al giorno solo per chitarra e voce, successivamente è stata aggiunta qualche sovraincisione, senza intaccarne il forte e immediato impatto emotivo. Canzoni brevi, tutte fra i 2 e i 5 minuti, che disegnano un panorama emotivo variegato non esclusivamente intimista, come potrebbe immaginarsi. Infatti l’album si apre con uno strumentale fatto di paesaggi elettronici onirici, preludio a un disco in cui l’intimismo si apre a suggestioni psichedeliche. Fra le canzoni ci piace sottolineare The Hidden Ghost, qui la chitarra e la voce sono accompagnate da inquiete ondate elettroniche dark, la fragile e ipnotica The Moon And The Devil uno strumentale per chitarra e synth, Mayhem, una militante folk song, che abbandona il carattere introspettivo per urlare la rabbia contro un mondo che sta sempre più sprofondando in un caos distruttivo, la vulnerabile e lisergica Little Bird, chiude In Your Eyes, una melodia bellissima e sognante, uno spiraglio di luce in un disco in cui le ombre prevalgono.

(Ignazio Gulotta) Voto 7.5

Ormai navigato cantautore, questo è il suo nono album, "Basta Crederci Un Po'", John Strada continua a costruire le sue canzoni ispirandosi alla grande tradizione dei rocker americani, a quel suono ruvido ed evocativo che affonda le sue radici nel blues e nel country, ma che Strada interpreta con la sensibilità propria della canzone d’autore italiana. Nelle undici canzoni dell’album l’autore affronta, con racconti e personaggi coinvolgenti e credibili, questioni centrali della contemporaneità: falsità e illusioni nei social, violenza poliziesca, femminicidi, speranze e disadattamento nella gioventù, l’arrendersi alla mediocrità, ma anche storie d’amore intense e disilluse come la malinconica ballata Amore Social. Un buon esempio della capacità di raccontare storie, è la titla-track, nevrotico blues sull’illusoria felicità da social, ma anche Parlavo Da Solo: Stream Of Consciousness, in cui sceglie il parlato per sciorinare una serie di pensieri e riflessioni personali frutto di vita vissuta. Alla riuscita del disco contribuisce l’aver scelto una serie di collaboratori che nella loro carriera hanno acquisito una solida conoscenza della migliore musica americana a partire da Antonio Gramentieri, qui alla produzione e alla chitarra elettrica e poi Diego Sapignoli alla batteria e Nicola Peruch alle tastiere. Il disco è distribuito da CrinaleLab.

(Ignazio Gulotta) Voto 7

Quarto album, questo "Razzi Di Fuoco", dell’eccentrico e bizzarro cantautore romagnolo Giacomo Toni che si rivela abile nel tratteggiare una galleria di personaggi che dipingono un affresco bizzarro e scanzonato di un’umanità che cerca di sopravvivere a un mondo che rischia di stritolare tutto. Originali gli arrangiamenti da big band, numerosi fiati e qualche arco accompagnano chitarra, basso, tastiere e batteria, come nel caso di Jelly Roll, alternati ad altri che rimandano alla balera e alla tradizione musicale romagnola, come nel tango malinconico di Mille Pizze. I testi spaziano dalla satira sulle famiglie in ferie forzate di Agosto, alla raffigurazione di singolari personaggi come il cuoco di Figacce, il ribelle luddista di Il Tornio Della Fabbrica, il terzino della Fidelis Andria di Abbondantemente A Lato. “Razzi Di Fuoco” è un album che sa di osterie e fiaschi di vino che guarda con affetto a un mondo che rischia di scomparire e ci ricorda che ciò che conta è il restare umani e guardare con comprensione ed empatia gli altri, le stesse che si provano per i credibili e umanissimi protagonisti delle sue canzoni.

(Ignazio Gulotta) Voto 7

Ignazio Gulotta

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