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5 Agosto 2020

Il Conformista – 50esimo Anniversario Bernardo Bertolucci

1970 - Mars Film

Regia: Bernardo Bertolucci. Cast: Jean-Luis Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Gastone Moschin. Genere: Drammatico. Paese: Italia. Durata. 116 Minuti. Mars Film.

50 anni fa usciva nelle sale “Il Conformista”, quel fascista per moda che segnò l’affermazione artistica di Bernardo Bertolucci. “Vi siete mai domandato, Clerici, perché la gente chiede di collaborare con noi? Per paura qualcuno, per soldi quasi tutti, per fede fascista pochissimi. Voi no, voi non siete spinto da nessuno di questi motivi”. Nel corso di un tetro colloquio di lavoro, immortalato in una delle prime scene del film, un alto gerarca fascista traccia l’identikit del suo interlocutore, Marcello Clerici, un giovane che ha presentato spontaneamente la sua candidatura alla posizione di funzionario dell’OVRA. Il profilo rimane incompleto, e quel tassello mancante diventa il leit-motiv dell’opera: perché, esattamente, il protagonista aderisce al fascismo? Nel corso dell’anno 1970 un giovane Bernardo Bertolucci, già noto negli ambienti cinematografici per gli esordi virtuosi de “La Commare Secca” e “Prima Della Rivoluzione”, intraprende l’ambizioso progetto di trasporre sul grande schermo una delle opere letterarie più complesse (e con forti tinte oscure di autobiografia) dell’amico Alberto Moravia. Lo fa avvalendosi della recitazione dell’ottimo Jean-Louis Trintignant, che rimane ai posteri per il suo sguardo marmoreo, impenetrabile, asettico, talvolta stralunato, con il quale trasmette tutta la sua sconcertante indifferenza, la sua pavidità, la sua passiva accettazione del corso degli eventi, di una storia della quale vuole essere un protagonista abulico. L’apatia del conformista ricorda, a tratti, la disarmante alienazione de “Lo Straniero” di Albert Camus (consegnata alla settima arte dalla perfetta interpretazione di Marcello Mastroianni nell’adattamento di Luchino Visconti). Marcello Clerici si approccia al disagio psichico del padre, recluso in manicomio, con la stessa apparente noncuranza che accompagna la (mancata) reazione de l’Etranger alla notizia della scomparsa della madre (condita da una punta di sadismo che lo porta, prima di congedarsi meschinamente dall’Istituto, a provocare un attacco del genitore, ricordando a quest’ultimo le sue crudeli gesta passate come esecutore della dittatura, proprio la stessa dittatura che decide di servire). Se il protagonista del capolavoro di Camus rimane impassibile di fronte all’omicidio del maghrebino di cui si rende colpevole in una torrida spiaggia di Algeri, additandone la responsabilità al sole abbacinante, alla congiuntura di oscure leggi della natura, all’insostenibile assurdità dell’esistenza cui non poteva opporsi, il personaggio moraviano/bertolucciano prende il delitto politico di cui deve reggere i fili come un dato, né giusto né sbagliato, un evento sic et simpliciter determinato da chi deteneva la potestà di scrivere le regole e di farle rispettare. L’imperturbabilità del conformista, analogamente al suo parente francese, viene spezzata soltanto in rarissimi frangenti: i singulti di rivoluzione di Clerici, in particolare, nascono soprattutto dalle palpitazioni dell’attrazione sessuale, di quella viscerale voluttà del corpo che costituisce una delle somme espressioni dell’uomo secondo il cinema di Bernardo Bertolucci, e che, due anni dopo, avrebbe raggiunto la più spregiudicata rappresentazione nel film “Ultimo Tango A Parigi”. Mentre l’indifferenza di Mersault, però, conduce l’uomo al nichilismo autodistruttivo, alla rassegnazione di fronte all’infausto epilogo di un’esistenza rispetto alla quale si sente alieno, Marcello Clerici mostra (non senza attimi di esitazione) un marcato attaccamento alla vita, e ritiene che il modo migliore di condurla passi attraverso l’accettazione da parte della comunità dominante, l’asservimento alle convenzioni sociali, al potere costituito, al più bieco 'dura lex sed lex', al riparo da ogni destabilizzante tumulto della ribellione e della diversità. E così il conformista si integra nei gangli dell’organizzazione fascista. Il partito gli assegna l’incarico più infame, quello della spia. Proprio quel ruolo che gli consente di mantenere il distacco dagli eventi, di osservare dietro le quinte evitando gli impulsi che culminano nell’azione (e poi, con la pistola in mano è così buffo). Dalla cabina di regia è più comodo essere ligi al proprio dovere, servire la patria senza il fardello del dubbio o l’orticaria del rimorso. Clerici può diventare senza troppi patemi un cittadino esemplare per l’epoca in cui vive. E anche questo lo rende un ottimo funzionario del ventennio.

Il conformista tra il matrimonio tradizionale e l’ambiguità sessuale.

Marcello Clerici mira a ricondurre entro i dogmi imposti dalla normalità anche la propria sfera privata, alterata dai fantasmi del passato che ogni notte fanno capolino per turbare il suo sonno. Da ragazzino riesce a sfuggire ad un tentato (e presunto) atto di pederastia ed uccide accidentalmente il suo aguzzino, un autista che lo aveva adescato con l’inganno. L’episodio lascia un segno indelebile nell’equilibrio del protagonista, acuito dal probabile piacere che ha provato nei primi contatti fisici con l’uomo, e dalla conseguente difficoltà di definire nettamente i confini della sua sessualità. Il conformista decide di mettere a tacere i propri demoni convolando a nozze con Giulia, una ragazza borghese svampita, superficiale, della quale non è innamorato, e che in fondo nemmeno stima. Proprio la mediocrità, la carenza di interessi, l’accontentarsi delle frivolezze mainstream, insieme alla venerazione per il proprio compagno e ad un aspetto delizioso (con il volto di una Stefania Sandrelli nel fiore della bellezza), rendono Giulia la partner perfetta, “tutta letto e cucina”, per un rapporto di coppia dalle dinamiche molto comuni per l’epoca. Ci si sposa perché il matrimonio è un caposaldo della società, si procrea per dovere verso la Nazione e spirito di conservazione della specie (del resto, lo insegna anche la tassa sul celibato). La fidanzata del conformista ha anch’essa un vissuto – differente ma altrettanto disdicevole per i costumi degli anni ’20 - con cui deve fare i conti, e che si vergogna di confessare al futuro sposo. La sua castità è stata rubata, tempo addietro, da un laido amico di famiglia, che si è insinuato clandestinamente nel suo letto per anni. Il connubio tra Giulia e Marcello può suggellare la redenzione di entrambi, che hanno l’opportunità di chiudere a chiave nell’armadio i rispettivi scheletri, e rivivere le gesta erotiche contaminanti con il candore detergente della tanto agognata normalità. Clerici esorcizza, senza mai scomporsi, ogni perigliosa deviazione dagli irreprensibili stereotipi. Assiste senza particolari patemi alla rovina della madre, nobile decaduta benché ancora intrisa di sprezzante autoreferenzialità, ma non accetta il suo stile di vita licenzioso, e non esita ad aizzare contro uno dei suoi amanti l’agente/cane da guardia Manganiello (un Gastone Moschin straordinariamente efficace nell’impersonare il braccio violento del fascio). Il conformista utilizza il più classico dei viaggi di nozze, nella magnetica cornice di Parigi, come copertura per avvicinare l’obiettivo della polizia segreta fascista: il Professor Quadri, docente universitario di filosofia di cui Marcello è stato allievo, dissidente della dittatura e – come molti intellettuali dell’epoca – in esilio volontario in territorio d’Oltralpe. Giunto all’abitazione del precettore sovversivo, un imprevisto rischia di far vacillare il piano dell’OVRA: Clerici si invaghisce da subito della moglie di Quadri, una bionda insegnante di danza elevata da un’aura di mistero ammaliatore, e non disdegna un approccio esplicito con lei. La donna (una valida ed accattivante Dominique Sanda) sembra non essere indifferente alle manifestazioni del conformista, forse per sincera attrazione, forse per smascherare e neutralizzare i propositi dell’oppressore. Clerici, in alcuni frangenti, sembra disposto a rinunciare alla menzione d’onore come cittadino/funzionario modello a vantaggio di una fuga passionale, ma l’oggetto del suo desiderio palesa un sempre crescente interesse verso la sposina del conformista. Un’ambiguità sessuale che trova la sua massima espressione quando Anna Quadri coinvolge Giulia, alticcia ed inconsapevole, in un ballo lascivo al centro di una luccicante sala ricevimenti. Ritorna, proprio con le sembianze dell’amata, lo spettro della sessualità volubile, quell’ambivalenza che potrebbe aver cagionato i tormenti del protagonista. Quel volto tanto seducente diventa un peccato da stigmatizzare, un Giano bifronte da reprimere, o, comunque, per cui non vale la pena combattere.

Il conformista e la religione.

Marcello Clerici si professa apertamente ateo, a dispetto del trittico “Dio, patria, famiglia” che viene comunemente adottato come modello vincente. Ciononostante, accetta di buon grado di sottoporsi alla confessione, passaggio obbligato per accedere al sacramento del matrimonio. Del resto, l’ingresso in Chiesa, proprio come la tessera del partito fascista, è più questione di tendenza che di fede. Nella profonda oscurità di un confessionale avviene il sinistro memoriale del conformista, un’ammissione di colpe da cui emergono le contraddizioni dell’uomo, e la sua intima dissociazione rispetto ai canoni del potere temporale. Egli, pur nell’immancabile asciuttezza del contegno, sembra avvertire una sobria contrizione dichiarando di essersi macchiato di quello che ritiene il peggiore dei crimini, l’omicidio. Non pare invece badare troppo all’avvicinamento carnale tra lui e la vittima, di cui parla in maniera criptica e confusa, suscitando una severa disapprovazione da parte del parroco: questi ritiene necessario, finanche prevalente, scandagliare i dettagli più scabrosi per indicare al peccatore la strada della redenzione. L’apparente priorità del confessore per gli atti di sodomia (che dal flash-back lasciano il dubbio circa la consensualità in luogo dell’abuso) rispetto all’uccisione di un uomo disorienta il conformista, che si avventura in una timida rimostranza. E si guadagna l’etichetta di eretico. Clerici ottiene l’assoluzione incondizionata del prete nel momento in cui rileva a quest’ultimo di appartenere all’organizzazione che dà la caccia alle “sette”, ai sovversivi del potere costituito. Quel subitaneo “Ego te absolvo peccatis tuis”, scevro di penitenze, provoca un’indimenticabile espressione di interdizione sul volto di Trintignant. Il protagonista prova a scorgere attraverso la grata il volto del ministro di culto che gli ha accordato l’indulgenza gratuitamente, soltanto perché ha saputo scegliere da che lato della barricata schierarsi. Uno dei volti più autorevoli del conformismo d’epoca. Proprio come Clerici aveva immaginato, la sua militanza rappresenta ciò che la società gli chiede per riabilitarlo, ed accoglierlo al proprio interno epurato dalle macchie del passato. Con la benedizione della religione cattolica, in cui egli non si rispecchia, ma che assurge al rango di culto ufficiale della Nazione alla quale deve essere fedele. E così il conformista si abbandona ancora una volta sul sentiero della rassegnazione, andando incontro con nonchalance al proprio destino.

 

Il conformista carnefice e vittima di una società malata.

Dal dialogo del primo incontro che riunisce, a distanza di anni, Marcello Clerici ed il Professor Quadri, durante il quale avviene un singolare revival di una risalente lezione universitaria, emerge il violento messaggio moraviano/bertolucciano, pregno di denuncia e di monito per i posteri. Il conformista, in perfetto stile edipico, rimprovera al padre adottivo di averlo abbandonato - lasciandolo privo del Vate di cui aveva bisogno per salvarsi dal torpore esistenziale – e di aver tradito la patria con una fuga poco onorevole. Forse un tentativo di autoassolversi, anzitempo, per il misfatto che avrebbe commesso, forse un’estrema, disperata, richiesta di aiuto. Il precettore rivendica la bontà della sua partenza come unica scelta possibile per proseguire, da lontano, l’opera di propaganda contro il regime e la miopia dei suoi sostenitori. Stigmatizza con profonda delusione la viltà di coloro (in particolare i suoi allievi) che hanno sacrificato i propri ideali sull’altare dell’autoconservazione (del resto, uno che parla come Clerici non può essere un fascista convinto), e si sono – di fatto – lasciati inghiottire dalle fauci mussoliniane. Pusillanimi condannati a vedere unicamente le immagini riflesse dal fuoco infernale della dittatura. Alberto Moravia affronta i suoi difficili trascorsi di intellettuale non allineato, e di origine ebraica, durante il ventennio totalitario. Riprendendo alcune delle tematiche icasticamente sviluppate ne “Gli Indifferenti”, lo scrittore romano stigmatizza, da un lato, il silenzio e l’accidia con cui il popolo italiano - in particolare il ceto borghese, preoccupato del mantenimento dello status quo - ha favorito l’avvento del fascismo. Dall’altro, non risparmia una critica al mondo degli intellettuali (forse, in parte, anche a se stesso), colpevole di una resistenza troppo flebile alla diffusione dell’oppio del dispotismo. Bernardo Bertolucci sfrutta al meglio la potenza visiva della settima arte per diffondere il verbo del grande romanziere, e vince la sua rischiosa scommessa. Il suo conformista è un gioiellino, tra manifesto politico e dramma freudiano, che traspone alla perfezione l’opera alla quale è ispirato. Non solo. Il film, nelle scene finali, si discosta dal soggetto moraviano, e si permette il lusso di regalare uno sviluppo alternativo che risulta persino più convincente, come affresco della spaventosa aridità del protagonista (sublimato nell’agghiacciante sequenza inedita dell’agguato), rispetto all’epilogo letterario. La consacrazione per uno dei registi più discussi del Novecento, il raggiungimento di una delle vette più elevate del cinema nostrano. Candidato all’Oscar, senza aggiudicarsi la statuetta, per la miglior sceneggiatura non originale, insignito di altri importanti riconoscimenti (tra cui il David di Donatello per il miglior film). Gli eventi della vacua esistenza del conformista seguono il loro corso, così come le lancette della storia del XIX secolo. Il fascismo viene sconfitto. La caduta della dittatura ridisegna il profilo di Marcello Clerici: egli non è un fedele servitore della patria, un modello da emulare per il senso di appartenenza alla Nazione, ma un criminale come tanti. Riaffiora, con la trasformazione del contesto sociale, il senso di alienità, di emarginazione, di profondo disagio del protagonista. Egli ha bisogno di conseguire un’altra normalità, di stipulare una nuova convenzione con la massa, di mimetizzarsi con i suoi connazionali salendo sul carro dei vincitori. Un po’ come tutti i simpatizzanti e conniventi del regime. Urge una catarsi, un’abluzione integrale che lo smacchi dai peccati che non è riuscito a riscattare, e che, al contrario, la sua onorata carriera di funzionario del ventennio ha pesantemente aggravato. E così il protagonista, spogliatosi per un attimo del suo proverbiale portamento compassato, addebita le malefatte compiute alla reincarnazione dell’uomo che per primo lo ha deviato, all’amico camerata che lo ha agevolato nella cooptazione presso le alte sfere del regime, all’ipocrisia di una comunità che lo ha plasmato a sua immagine e somiglianza. Dov’erano, tutti, quando Marcello Clerici si consegnava definitivamente nelle mani della sventura? Perché chi avrebbe potuto impedirlo ha preferito optare per la cecità, trincerandosi dietro un muro di gomma? A mezzo secolo di distanza, la pellicola appare ancora tremendamente attuale ed efficace nella denuncia contro una società che, a dispetto delle libertà che sembra accordare a tutti, imprigiona entro rigidi cliché, impone determinate scelte e sacrifici a chi brama l’ingresso nel giro che conta. Con il rischio di nuove affermazioni per chi riesce a cavalcare l’onda delle debolezze altrui. Mentre la folla si riversa nelle strade per festeggiare la deposizione del duce, ed un Clerici, mai così solo, si volta verso il proprio passato, o la mistificazione del vissuto, incapace di discernere le immagini reali dalle ingannevoli proiezioni delle stesse, tornano alla mente i versi del compianto Giorgio Gaber: “Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta”.

 

Alessio Fugazzotto

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