Migliora leggibilitàStampa
25 Febbraio 2020

Parasite Bong Joon-ho

2019 - Academy Two

Regia di Bong Joon-ho. Cast: Song Kang-ho; Lee Sun-kyun; Yeo jong-Yo; Choi Woo-Sik; Park So-dam. Titolo Originale: Parasite. Genere: Drammatico. Corea del Sud, 2019. Durata: 132 minuti.

 

La struggente parabola pasoliniana del Sol Levante. Un mondo conosciuto solo in superficie, umanamente e cinematograficamente, così lontano eppur così vicino al nostro. Un cineasta sudcoreano prende per mano gli spettatori di tutto il globo e li conduce a casa sua, un Paese noto ai più per quella costante accumulazione di ricchezza (appannaggio di pochi) chiamato progresso, come nuova base dell'innovazione tecnologica, quale partner fedele delle potenze occidentali. E per il confine spinato con i poveri ed oppressi cugini nordcoreani, segnato da una linea di tensione e di odio che ha spesso tenuto in allerta cowboys e zar. Come un Giappone in miniatura. Una sorgente di avanguardia democratica. Seul e Pyongyang ci hanno sedotto con gli sfarzi olimpici, colorando di Hanbok e fuochi stellari varie stagioni dell'ultimo trentennio.

Bong Joon-ho scatta una fotografia diversa, senza filtri, che ci ricorda come anche da quelle parti esistano profonde lacerazioni. Ascolta le voci degli ultimi, consegnando loro un megafono che possa far risuonare in superficie le grida dai bassifondi. Al centro della scena una famiglia disagiata, quella dei Kim, unita dall'affetto ma squarciata dalla disoccupazione e dal bisogno. Abitano nel sottosuolo, sopravvivono grazie a piccoli espedienti, sono sporchi quanto gli scarafaggi con cui condividono il desco, sono costretti a fare i loro bisogni in un sanitario ad altezza finestra del seminterrato. Ricevono le purghe della disinfestazione dalla strada accogliendole di buon grado dalla finestra, quale speranza di liberazione dalle piaghe della povertà. Gli eredi di Accattone del terzo millennio, influenzati dal celeberrimo (o famigerato) progresso che li porta a procacciare la rete Wi-fi in aggiunta al pane. Potrebbero essere i subproletari di casa nostra, gli additati come parassiti in fila per il reddito di cittadinanza, le bestie ignoranti che cercano su Google nozioni a loro ignote grazie alle quali arrabattarsi. A poche fermate di metro fa da contraltare la reggia dei Park, un capolavoro dell'architettura e del design, dove le comfort zones sono talmente ampie ed opulente da risultare pacchiane, ed il principesco giardino accoglie tutta la luce del Sol Levante proibita ai sommersi. La famiglia che alberga nella casa dei sogni è un affresco dell'aristocrazia che non pare forestiero: ostentatrice della perfezione, guerriera delle apparenze, schifiltosa, sprezzante. Tristemente annoiata, incapace di adattarsi e di sapersela cavare autonomamente nelle difficoltà, con prole vittima delle turbe del vizio e dell'inadeguatezza degli insegnamenti di chi è sempre stato abituato ad avere tutto facile. Superba, al punto da non prendere in considerazione l'ipotesi di venire avvicinata (e finanche gabbata) dalla feccia sociale. E così, grazie alla tecnica degli espedienti e all'arte della sopravvivenza, le storie delle due famiglie riescono sorprendentemente ad incrociarsi. Anche se nelle vesti dei servi che riveriscono i cortigiani orientali, i parassiti affiorano in superficie e condividono per momenti della giornata la reggia con i signori. I figli delle due stirpi possono giocare e studiare insieme. Anche innamorarsi. L'olezzo del degrado non sfugge all'olfatto dei bambini nobili, dei quali l'ingenuità ha ancora preservato i sensi, ma i grandi sono troppo offuscati dall'inveterata alterigia per prendere in considerazione tali promiscuità. E così la lotta di classe ottiene una prima vittoria. Pasolini - e non solo lui - sarebbe stato curioso di sapere se i Kim avrebbero proseguito la battaglia o si sarebbero seduti, se avrebbero puntato a distruggere l'apparato sociale che li ha generati o se - obnubilati dall'ascesa - avrebbero mantenuto lo status quo, cercando di insediarsi nelle poltrone del potere. Non lo sapremo mai. Sulla strada dei Kim risuona come uno schiaffo un altro grido di dolore che emerge dal sottosuolo. Uno scantinato ancora più invisibile del tugurio in cui vivono i protagonisti, edificato proprio nelle fondamenta della reggia che avevano occupato. Un sottoscala che ha salvato la vita di un altro reietto - vittima della piaga sociale dell'usura - ma che al contempo lo ha imprigionato e ne ha succhiato la linfa vitale, condannandolo ad una sepoltura sotto i tacchi di chi era troppo impegnato ad ammazzare il tedio con problemi immaginari per accorgersi della sua presenza. E così la risalita si arresta. Si stempera, in un primo momento, in una sterile guerra tra poveri, dove il desiderio di galleggiamento spazza via ideali e speranze. Fino a culminare in un crudo tutti contro tutti, in uno spietato cane mangia cane. Del povero contro il povero - all'insegna del più bieco "Mors tua vita mea", del dramma della disperazione - e del povero contro il ricco, colpevole di inettitudine di fronte al collasso della società. Forse anche del ricco addormentato contro il povero, sempre meno degno di considerazione e additato come ostacolo alla propria realizzazione (meglio, in questo caso, salvezza). E così, come capita a tutti gli (anti?)eroi pasoliniani, nella parabola dei Kim il riscatto lascia presto la strada alla rassegnazione. La dannata famiglia, ormai disillusa e stigmatizzata, si ritrova mutilata e (ri)confinata nel sottosuolo. Rimirando le luci intermittenti che rischiarano a sprazzi il giardino regale, teatro di tanti sogni di anarchia, il figlio maggiore dei Kim comprende che soltanto piegandosi alle logiche del capitalismo potrebbe veder riunito nella dignità quel che resta dei suoi affetti. Non a caso premiato con la Palma d'Oro a Cannes e con l'Oscar come miglior film in assoluto.

Era da tanto tempo che desideravamo gridare al capolavoro. Finalmente ce l'abbiamo fatta. Almeno crediamo. Il tema evergreen delle sperequazioni sociali trattato con quell'originalità che tanto manca al cinema contemporaneo, con ingredienti di commedia amara, denuncia sociale, dramma e noir amalgamati alla perfezione. Un film convincente nell'ambientazione, nelle sequenze, nei simboli, nella forza del messaggio che promana dalle scene. Aspettando la pioggia. Non quella che ci libera dagli insetti dell'umanità, vista come purificazione dai benpensanti riparati e come cataclisma da chi vive a contatto con le fognature che rischiano di esplodere. Ma di un diluvio che elimini la vera sporcizia chiamata disuguaglianza. E così, quando la voce narrante dalle viscere della terra ci parla degli sciacalli immobiliaristi che sono riusciti a speculare persino sul luogo del delitto, viene da chiedersi chi siano i veri parassiti.

Alessio Fugazzotto

Video

Inizio pagina