Mark Knopfler One Deep River

‘You are one deep river, old friend. One deep river, amen’.

Lo avevamo lasciato sei anni fa lungo le strade del roots. Superbo sultano dello swing, raffinato poeta con la Stratocaster (o talvolta la Gibson), Mark Knopfler è da sempre uno che evita i riflettori e predilige far parlare di sé esclusivamente attraverso le incantate armonie degli inseparabili strumenti a corda. È di questi giorni il rilascio di “One Deep River”, decimo capitolo di una discografia solistica prossima alla celebrazione trentennale. Confezionato nei londinesi British Grove, innovativi studi di registrazione di sua proprietà all’interno dei quali sono custodite due storiche console di missaggio Emi (utilizzate a fine Sessanta nientemeno che dai Fab Four), l’album è prodotto in collaborazione con l’affezionato partner storico Guy Fletcher, al fianco già dai tempi del soundtrack d’esordio “Local Hero”. Dodici tracce in scaletta per un’ora (o poco meno) di rasserenante ascolto, tra nostalgiche ballate , trasognate habaneras e graffianti incursioni western-blues. Il Maestro Mark non tradisce gli stilemi della personale comfort-zone musicale, muove con maestria il plettro sulla tastiera generando collaudate vibrazioni e le accompagna con una recita profonda che si rivela, in alcuni frangenti, meno ‘nebbiosa’ del solito. Racconta storie di vita vissuta, musicisti, treni, frontiere e fiumi che scorrono silenziosi, innalzando suoni ed impressioni che sorvolano idealmente l’oceano ed uniscono la sua Newcastle con la California. Con l’eleganza che da sempre lo contraddistingue. Da Scavengers Yard a Tunnel 13 passando per Janine, Sweeter Than The Rain fino a tuffarsi nelle acque della title-track in coda, "One Deep River" non accenna a colpi a vuoto rivelandosi, tra gli ultimi lavori griffati da Knopfler, uno dei più ispirati. Perfettamente illuminato dai riflessi crepuscolari sul Tyne Bridge.