Cesare Basile Saracena
[Uscita: 03/05/2024]
Quel che salta subito all’orecchio ascoltando l’ultimo lavoro di Cesare Basile è il carattere di urgenza, di necessità che ha spinto l’artista a comporlo e registrarlo in sole due settimane e, non a caso, a inciderlo in solitudine. Potremmo definirlo un instant record, se non fosse che tutto, dalle musiche, alle parole, al cantato sa di antico, di profondo. Volutamente Basile collega la tragedia del popolo palestinese, la Nakba che li costringe da 75 anni al destino di profughi, all’esilio degli arabi di Sicilia dopo la conquista normanna. «Saracena è canzone d’esilio e spartenza. Canzone di separazione dall’infanzia, dai luoghi, dalla lingua. Canzone di pietre e nomi nascosti, terra calpestata dalle armate degli invasori, case abbandonate, rabbia che fa esplodere il cuore e la carne». È dalla voce del grande poeta palestinese Mahmoud Darwish, cantore dell’esilio e della lotta del suo popolo, che Basile ha tratto ispirazione per “Saracena”. Ne è venuto fuori un album cupo, drammatico, profondamente radicato nella storia e nella cultura dei popoli mediterranei. E non poteva esserci immagine migliore per la copertina del disco della raffigurazione di un centenario albero di ulivo, disegnato da Francesca Pizzo Scuto, pianta simbolo di questa area geografica almeno fin dagli antichi greci e oggi simbolo della resistenza e dell’attaccamento alla propria terra del popolo palestinese. Poco meno di mezz’ora di musica che ti colpiscono come un pugno allo stomaco, cantato tutto in siciliano, una lingua che è essa stessa il risultato delle influenze portate dai vari popoli mediterranei e che possiede una musicalità che ben si presta a narrazioni evocative e dolorose e che Basile utilizza in un cantare che ha un che di mesto e fatalistico, porta con sé le sofferenze di chi per secoli ha vissuto duramente e ha conosciuto ingiustizie e persecuzioni e vive nella nostalgia di qualcosa che si è perduto. Musicalmente la novità principale del disco è il massiccio uso dell’elettronica che ha un ruolo espressivo importante e ha il compito di suscitare turbamento, inquietudine e sottolineare il carattere drammatico dei testi, sono sonorità disturbanti, aspre, onde di dolore dure come pietre che grondano del sangue dei vinti. Accanto, gli strumenti a corda, chitarra, baglama, rebab ricamano trame ipnotiche circolari che profumano delle sponde orientali e meridionali del Mediterraneo in un lento caracollare sonoro che richiama l’incedere di antiche carovane e soprattutto quello di una popolazione che si incammina dolorosamente verso l’esilio. Cesare Basile si conferma come uno dei musicisti più originali e coraggiosi della scena italiana, un artista che con parsimonia, il precedente e altrettanto bello “Cummedia” risale a cinque anni fa, produce una musica in cui folk, blues, etnica, sperimentazione, rock trovano uno straordinario equilibrio espressivo. Aggiungiamo che, rispetto al vergognoso silenzio della scena non solo musicale italiana, Basile ha il grande merito di mettere al centro di un disco la tragica questione palestinese, un’ingiustizia che dura da troppo tempo e lo fa in un modo così musicalmente splendido da stare accanto all’ormai lontano “Luglio, Agosto, Settembre (Nero)” degli Area. Ci rendiamo conto di non aver parlato in dettaglio delle otto canzoni, due strumentali, del disco, ma molto meglio ascoltarle che stare a leggerne, tanto la forza espressiva della musica non potrà che colpirvi. Buon ascolto!
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