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10 Settembre 2012 , ,

Dead Can Dance ANASTASIS

2012 - Pias
[Uscita: 13/08/2012]

Dead Can Dance – Anastasis # Consigliato da DISTORSIONI

 

Ci sono ritorni e ritorni. Artisti che decidono di tornare in pista per esigenze economiche o perché un insperato revival li ha riportati all’attenzione di un pubblico più o meno vasto, oppure artisti che decidono di ritornare in attività semplicemente perché scoprono di avere ancora qualcosa da dire. Il ritorno sulla scena dei Dead Can Dance a sedici anni di distanza dall’ultimo lavoro “Spiritchaser” appartiene sicuramente a questa seconda categoria. Vuoi perché i due membri Brendan Perry e Lisa Gerrard non hanno mai smesso di essere attivi singolarmente e vuoi perché sarebbe stato sicuramente più comodo a livello di immagine, restare fermi, cristallizzati nell’immaginario collettivo che li ha congelati nel tempo e nello spazio dell’olimpo dei grandi della goth-wave degli anni ’80 insieme  a gruppi come Cocteau Twins, Bauhaus, This Mortal Coil (tutti di scuderia 4AD, la stessa che oggi ci propone Bon Iver, Grimes e i Big Pink tanto per capire come cambiano i tempi).

 

E allora ecco arrivare, dopo una prima reunion live nel 2005 ed una serie di 5 EP live in download gratuito nel 2012, “Anastasis” che in greco significa rinascita, probabile vezzo intellettuale dei nostri, che dà un tono di solennità ad un titolo più che appropriato per un disco che riprende il cammino esattamente dove si era interrotto. Il suono è quello classico, marchio di fabbrica del gruppo, un incrocio di sonorità antiche, atmosfere che ci portano in medio oriente, nell’Asia centrale, nel mediterraneo pre-cristiano. Qualcuno potrà obiettare che questa premessa indica una staticità del gruppo che sarebbe sintomo di mancata capacità di innovare, ma lo spirito DCD non è quello di fare cose diverse dal passato, quanto piuttosto, continuare ad ammaliarci con quelle sonorità che oggi un ascoltatore non attento definirebbe world-music accostandoli tanto per fare un nome noto, ad Enya o Peter Gabriel. Ma i nostri non appartengono a questa schiera, in quanto capaci, con le loro alchimie sonore e vocali, di dare vita ad un mondo inesistente e di immergerci in realtà da cinema fantasy (non a caso, le loro musiche sia come gruppo che nelle esperienze soliste sono state utilizzate in colonne sonore cinematografiche) dalla grande forza evocativa, mescolando differenti tradizioni musicali e avvolgendole in un nebbioso e oscuro ambiente sonico.

 

Dead Can Dance – Anastasis Venendo al disco, che è stato concepito nello studio di Perry, una chiesa sconsacrata in Irlanda, i due si dividono equamente le parti vocali per otto brani dalla lunghezza compresa tra i sei e gli otto minuti, tempo che ad un ascoltatore disattento apparirà eccessivo e a rischio monotonia, mentre agli estimatori della band aiuterà sicuramente ad immergersi più in profondità nelle atmosfere che vanno via via creandosi. La divisione tra le parti dei due rimane netta, non solo vocalmente ma anche per le tematiche esplorate. Così, nella iniziale neoclassicheggiante e ancestrale Children of the sun, la voce roca e baritonale di Perry (provate a immaginare un Sufi con la voce di Ian Curtis che intona una preghiera) ci conduce in un mondo antico, omaggio ad popolo immaginario fatto di uomini e donne con girasoli tra i capelli (verosimilmente gli stessi che appaiono bruciati dal sole sulla copertina dell’album) e dei legami dell’essere umano con la natura. In Amnesia riflette, sorretto da archi  maestosi, sulle labilità della memoria sia individuale che di una collettività moderna troppo impegnata a seguire i dettami delle mode piuttosto che riflettere sulle lezioni del passato.

 

In Opium, l’episodio migliore del disco, Perry intona una litania  sul desiderio di fuggire dall’impossibilità di scegliere, mentre nella conclusiva All in good time, altro brano di livello altissimo, sembra voler ritornare alle origini della band con l’idea del risveglio e della maggior presa di coscienza su una base pulsante come sangue caldo, intrisa di un misticismo pagano di immane suggestione. Ma è chiaramente negli episodi a carico della Gerrard che il disco decolla. La cantante australiana sfodera, complice l’utilizzo di una lingua inventata, una voce da contralto capace di farcela immaginare una ieratica sacerdotessa nella preghiera di Anabasis, dai vaghi rimandi ai Massive Attack di “Protection”, piuttosto che galleggiante sulle ritmiche tribal-arabeggianti di Kiko oppure danzatrice ipnotica e sensuale nei lenti vocalizzi mediorientali di Agape che, accompagnati dal sitar, ci conducono all’estasi finale. Le  voci dei nostri si incrociano solo una volta ma quando lo fanno, in Return of the She-King introdotta dal suono delle cornamuse, il risultato è da brividi e ci fa capire dove risiede la grandezza immutata di questo duo.

 

Dead Can Dance – Anastasis Una sensazione difficile se non impossibile da spiegare a parole nella sua eleganza e al contempo forza di impatto, probabilmente proprio quello che il marchio DCD ha sempre cercato di raggiungere e che qui tocca sicuramente un punto molto alto. Ci troviamo di fronte al ritorno di uno di quei gruppi di cui possiamo dire di aver sentito la mancanza, anche e soprattutto dopo aver ascoltato questa loro rinascita: rispetto alle esplorazioni delle varie musiche etniche di Spiritchaser  fa un passo indietro riportandosi in parte ai tempi di “Aion”. In particolare nelle parti a cura di Perry ripercorre sentieri più  saturi di quella sacralità oscura che ne aveva contraddistinto gli esordi, mentre la Gerrard rimane maggiormente ancorata alle tradizioni mediorientali a lei certamente più care. Uno dei migliori dischi dell’anno, che non vediamo l’ora di ascoltare dal vivo, dove le atmosfere che il duo sa evocare vengono rese al massimo in ambientazioni non da stadio o da club. L’appuntamento in tal senso è già iniziato con un tour che è partito il 9 Agosto da Vancouver e toccherà l’Italia per un'unica data il 19 Ottobre al Teatro degli Arcimboldi di Milano, già tutto esaurito da tempo. Che dire di più? Ci vediamo lì!

 

Ubaldo Tarantino

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