Mark Edward Smith Il meraviglioso e spaventoso mondo dei Fall
- Broughton, 5 marzo 1957
- Prestwich, 24 gennaio 2018
La vertigine di una caduta annunciata
Nell’Inghilterra del 1978, l’anno che segna - con l’autodistruzione dei Sex Pistols - la fine dell’era punk, nasce dalle sue ceneri il post punk e i Fall pubblicano il loro primo EP “Bingo-Master's Break Out!” (Step-Forward). Sono la band che incarna il senso più autentico di quel periodo tormentato e frammentato in cui si fa fatica a raccogliere delle idee non impolverate da quelle macerie ingombranti e delle visioni di speranza tra tenebre di sogni infranti e disillusioni. Ma se il termine post punk ha ragione di esistere e se dietro al suo uso spesso e volentieri sconsiderato si può intravedere una confluenza di dinamiche e temperie storiche in grado di spiegarne e suffragarne l’identità, questo si deve davvero alla creatura di Mark Edward Smith. La sua improvvisa e prematura scomparsa è stata annunciata attraverso il canale social della band dalla manager Pam Vender. Non si conoscono con esattezza le cause del decesso anche se ultimamente la salute di Mark stava dando segni di cedimento. Nel mese di ottobre 2017 il cantante si era esibito su una sedia a rotelle e questo non aveva di certo rassicurato i suoi fan dopo che in estate alcune date del tour americano erano state cancellate per un ricovero dovuto a ‘bizzarri problemi alla respirazione e alla gola’.
Per oltre 40 anni, in completa coerenza con la filosofia esistenzialista di Albert Camus (“La caduta” è un omaggio al suo celebre romanzo del 1956) Mark E. Smith si è collocato in una zona d’ombra che era anche una sorta di punto di osservazione privilegiato e trasversale sugli accadimenti. Ne ha infatti dato una lettura incarnata, sempre molto lucida, se vogliamo dissacrante ma anche incredibilmente appassionata e partecipata. Mark era un lottatore e il suo sguardo era di sfida, di resistenza. Incapace di adagiarsi nelle convenzioni, incapace di essere rappresentato nella sua mutevolezza e nel suo esasperato bisogno di evolversi e trovare nuovi stimoli. Tutto questo ne mette a fuoco la grande caratura, il carisma, la profondità di cultura e di riflessione. E come la visione di Camus era sospesa tra la fine dei totalitarismi e l'inizio della guerra fredda, quella di Smith assorbiva la stessa malcelata disillusione in una Manchester incapace di affrancarsi dalle conseguenze di una industrializzazione forsennata e disumanizzante, incapace anche di accettarne l'inevitabile e altrettanto repentina e ingloriosa fine. Gli anni posti nel mezzo tra la caduta e l'inizio paradossale della caduta successiva, come nella più catastrofica delle chiaroveggenze.
Manchester: gli inizi
I Fall nacquero nel 1976, proprio sulla scia di un entusiasmante concerto dei Sex Pistols a Manchester. Da quel momento la lunga vita della band è stata contrassegnata da continui cambi di formazione, ogni membro (oltre 60!) ha resistito da un minimo di pochi giorni a un massimo di poco più di un anno ad esclusione ovviamente del suo leader indiscusso e di due delle sue mogli (Brix Smith e Eleni Paulou). L'attività è stata molto prolifica: più di 30 album in studio in quattro decenni, di cui l'ultimo "News Facts Emerge" uscito il 28 luglio 2017, e sempre di grandissima qualità. Anche la loro discografia 'live' è ricchissima. Sicuramente il sottofondo coreografico di una città grigia e decadente come la Manchester di fine anni '70 è stato determinante nella concezione estetica e filosofica di Smith.
Symon Reynolds nel suo libro "Post Punk" (ISBN, 2010) ci racconta che il motorino di Mark, la mattina presto, diretto ai Salfords Docks, dove il nostro prestava servizio come impiegato alle spedizioni, deve quasi sicuramente avere incrociato, in prossimità del complesso di Trafford Park, i passi stanchi e l'andatura a testa bassa di un suo coetaneo con la stessa giacca blu da operaio che si recava al collocamento del suo comune, quel Ian Curtis che proprio nello stesso periodo e sotto la stessa cornice fonderà l'altra band capace di incarnare l'essenza oscura e tormentata del post punk: i Joy Division. I due gruppi però non incrociarono mai - se non trasversalmente - il loro cammino, pur avendo molti punti in comune compresa la personalità davvero ingombrante e la somiglianza dei rispettivi frontmen.
Il carattere proverbialmente difficile e scontroso di Mark E. Smith era probabilmente frutto di un difficile adeguamento allo squallore e alla desolazione di sobborghi operai che in quegli anni conoscevano la prima autentica crisi post industriale. Grandi fabbriche di cotone del XIX secolo che, dopo aver intravisto le lusinghiere promesse del capitalismo e della meccanizzazione, diventavano lugubri e silenti monumenti a testimoniare l'insostenibilità di un progresso incapace offrire riscatto alla classe lavoratrice. Tutto sembrava tradursi in scempio e snaturalizzazione delle più elementari regole di vita e di decoro. Uniche fonti di intrattenimento per i cittadini votati ad estenuanti ritmi lavorativi sembravano essere i pub dove si mangiavano schifezze improponibili e si bevevano enormi quantità di alcool, le sale da bingo e l'uso massiccio di droghe e psicofarmaci. Mark assume il ruolo del disadattato che suo malgrado finisce per adattarsi. Anche lui abusa di alcool e funghi allucinogeni e soprattutto di droghe chimiche. La sua ripulsa, il suo scontento e la sua feroce critica al progressivo, pilotato sfaldamento della coscienza sociale arriverà solo attraverso le sue pungenti liriche. Nel modo biascicato e caracollante delle sue invettive. Urlate, declamate, sputate o abbaiate. Un poeta maledetto del suo tempo che aborriva ogni inclinazione romantica e affettata senza mai disdegnare di coltivare sogni di riscatto morale e culturale in opposizione all'assuefazione e alla stagnazione. La sua avvizzita impertinenza denunciava i vizi della sua città e i suoi stessi vizi.
The Fall: una panoramica sulla discografia
“Live at the Witch Trials” (1979) con pezzi che raccontano la paranoia (Industrial Estate, Underground Medicin e Frightened) ma anche la voglia di far accendere l'unica scintilla possibile, quella interiore. Crap Rap 2/Like to Blow e Rebellious Jukebox con ritmiche ammalianti e le sferzate disarticolate sulla Snoopy di Una Baines. Tutto a raccontare un'inquietudine esistenziale che assorbe e ripudia rabbiosamente. In "Dragnet" (1979) c'è qualcosa di primordiale e animalesco. Danze valpurgiche che inaugurano l'incedere ripetitivo e sincopato del country'n'northern grezzo e sfilacciato
accostato a testi sibillini di satira misogina pronunciati con perentoria veemenza. Tutto si solidifica e trova compimento nel mastodontico "Grotesque" (1980) in cui convergono le pantomime surreali e provocatorie di William Hogarth e la filosofia dell'assurdo di Albert Camus. Il punto di osservazione è qui distaccato, sbeffeggiante, glaciale e impietoso.
Si salva solo il pezzo di chiusura The N.W.R.A., acronimo di The North Will Rise Again che inneggia ad un risveglio dall'apatia e dalla passività pur facendo riferimento ad uno scenario fantastico del tutto utopico, quasi magico o onirico. Del resto il nichilismo e lo scorbutico cinismo di Smith ha anche un sotterraneo lirismo e sicuramente risente della sua voracità letteraria.
Nella sua lunga carriera M.E.S. non ha solamente ispirato una fitta schiera di gruppi che non hanno mai nascosto il loro debito (Sonic Youth e Pavement ma anche lo stesso Julian Cope più volte lo hanno citato come guru dalle doti sciamaniche) ma ha anche voluto rendere omaggio ai personaggi che amava, a coloro che in qualche modo lo avevano stimolato e sottratto al grigio opprimente della sua città, a quel grigio che non faceva cogliere la differenza tra cielo e cortine dei palazzi, fiumi e snodi ferroviari, strade e terreni invasi dalle scorie industriali. I Kinks con la cover Victoria, il kraut rock dei Can con I am Damo Suzuki, il garage invasato dei Monks con Black Monk Theme e la cover Shut Up! I Sonics con Strychnine ma anche l'alt progressive di Henry Cow con War. Poi un’infinità di citazioni colte e indiretti attestati di stima agli animaleschi e punkadelici Seeds, allo psycho-billy dei Cramps, alla no wave dei DNA e soprattutto a Captain Beefheart. Anche la contestazione politica trova spazio in moltissimi testi (Hey! Fascist, l’outtake Race Hatred, Pay Your Rates, Who Makes The Nazis?) anche se Smith è sempre molto attento a non rimanere ancorato a manifesti troppo rigidi che poi inevitabilmente rischiano di trasformarsi in propaganda o in altrettanto superficiale scimmiottamento sinistroide e modaiolo.
Lui è acuto, ha lo sguardo lungo di chi conosce bene le dinamiche perverse e le ipocrisie di facciata di qualunque contratto sociale. È anticonvenzionale, non è mai scontato e malgrado posa rigida e intransigente non è un disfattista ma una persona che lotta prima di tutto con se stesso e poi con chi gli sta intorno per tirarne fuori la parte migliore, quel moto di arroganza e indignazione che nei momenti più neri spinge a perseverare.
Tra i dischi imprescindibili non si può non citare “Hex Enduction Hour” (1982) che omaggia il soprannaturale ma soprattutto la visione intesa come estrema via di fuga. La meravigliosa The Classical con una sezione ritmica martellante e travolgente che si accavalla alle invettive e al piglio primordiale della voce, la ripetizione esotico misticheggiante di Iceland con l’incedere serrato omaggia i Faust e Terry Riley, i cambi ritmici, le diluizioni di Hip Priest che sembra un delirio alcolico. Lavori compiuti e ben strutturati di una certa rilevanza sono anche “The Wonderful and Frightening World of…” (1984) inizio della collaborazione con la label Beggars Banquet e “The Frenz Experiment” (1988).
Per non rischiare di lasciare fuori nessuno degli album più significativi è sicuramente consigliabile la raccolta delle registrazioni fatte negli studi di John Peel, loro grande estimatore, il box set di sei CD (121 brani) uscito nel 2005 “The Complete Peel Sessions 1978–2004” (Castle Music) ma anche il doppio CD del 2004 “50,000 Fall Fans Can't Be Wrong-39 Golden Greats” (Beggars Banquet) che contiene le hit Totally Wired, Fiery Jack, Hey! Luciani, Touch Sensitive.
In tema di singoli, imprescindibili per conoscere il pianeta Fall le raccolte "45 84 89 A Sides" (1990, 17 brani) (foto a sinistra) e la doppia "45 84 89 B Sides" (1995, 31 brani) (foto sotto a destra), tutte e due su Beggars Banquet.
Di tempi più recenti, Novembre 2017, è "Singles 1978-2016" (Cherry Red) poderosa uscita di ben 7 CD e 117 brani. [P.B.]
Repetita NON iuvant!
Mark E. Smith lascia un’eredità imponente e importante che racconta in modo più eloquente di qualsiasi biografia la sua etica e la sua estetica, la sua ricerca e le peripezie che hanno contraddistinto la sua maturazione artistica e personale in un’ottica di grande coerenza di fondo. Come nel romanzo di Camus, la caduta diventa una scelta consapevole. Si cade quando si redarguiscono gli altri vedendo lucidamente tutta la loro vulnerabilità ma di fatto si constata il fallimento su se stessi. Come l’avvocato Clamence del racconto di Camus, Smith è impossibilitato a liberarsi fino in fondo della propria deriva egoistica, per fatalismo e per inedia e questa è la sua seconda, reiterata caduta. La diabolica Repetition. Lui la apprende nel momento stesso in cui, nel suo agire propositivo e nel suo slancio compassionevole da predicatore infervorato, scorge il giudizio inquisitorio. Qualcosa che lo spaventa e lo atterrisce più di ogni altra miseria umana. Che lo porta a rifugiarsi in una nicchia di distacco che si confina in una dimensione onirica, in un’ideale zona di illuminazione mistica tra magia e chiaroveggenza.
Come un giullare che scorge la sua faccia riflessa in uno specchio e fa risuonare la sua risata senza denti di scherno. Una risata le cui vibrazioni terrificanti scuotono il mondo con l’energia di una folata ultraterrena e sovrannaturale. Chi entra nel tragico magnetismo dei Fall è destinato a osservare il suo vorticoso precipitare per sempre. Mr Smith, con la sua pinta di birra davanti non beve più per dimenticare, si è riconciliato per sempre con la sua caduta.
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