Tortoise + Sam Prekop 20 Febbraio 2016, Roma, Monk Club
Con la pubblicazione del nuovo lavoro “The Cathastrophist” (Thrill Jockey, 2016) la band di Chicago Tortoise torna in tour in Europa, dopo sette anni dall'ultimo “Beacons an Ancestorship” (Thrill Jockey, 2009), album sotto tono che non aggiungeva molto a quanto fatto in precedenza. Nel nuovo disco troviamo un po' di novità, brani più corti, le sonorità kraut degli ultimi due dischi si fanno più minimali e ci sono tracce di funk nella parte melodica.
Addirittura due brani cantati che per una band strumentale è un po' insolito, anche se non nuovo del tutto dopo la collaborazione ad un album di Bonnie “Prince” Billy. Tutti questi fattori hanno innescato la curiosità di vederli dal vivo al Monk di Roma e non ne siamo stati affatto delusi. Sul palco un set montato con due drum-kit al centro, uno di fronte all'altro, ai lati estremi in fronte palco due vibrafoni, dietro in posizione speculare le postazioni di basso e chitarra, al centro sempre sul fondo tre postazioni con mini synth.
Sam Prekop
La sala è già gremita quando sul palco appare Sam Prekop (ex Shrimps Boat) e voce dei Sea and the cake, che presenta il suo nuovo progetto elettronico “The Republic” (Thrill Jockey, 2015), nato come colonna sonora dell'installazione omonima dell'artista visivo David Hartt. Prekop in assoluto silenzio con cappotto e berretto di lana rosso comincia a smanettare su dei synth modulari; arpeggiatori e droni compongono il set.
Lui tenendo il tempo dal piedino accavallato, di tanto in tanto inverte dei jack, muove delle manopole, tutto molto sobrio, molto composto e raffinato ma un po' fuori luogo visto il brusio eterogeneo del pubblico che lo scambia per sottofondo alle chiacchiere. Il tempo di posizionarci sotto il palco ed ecco che Prekop come è arrivato così va via, in silenzio e già vestito per uscire nell'umida serata romana.
Tortoise
Il concerto dei Tortoise comincia in orario e si apre con i brani dell'ultimo album, la title- track, The Cathastrophist e Ox Duke, i brani prettamente elettronici, suonano in modo caldo e seducente mentre John Herndon fa presagire già che batteria la farà da padrone.
Gigantes, brano successivo, mette in risalto le doti tecniche della band che si alterna con disinvoltura ai vari strumenti; in questo caso doppia batteria di John Mc Entire e Dan Bitney accendono la folla per uno dei classici della band. In seguito Shake hands with danger -col suo incedere mediorientale un po' cupo fa entrare in un'altra dimensione il pubblico- ed il ritmo spezzato di Tesseract (stavolta con Herndon al basso) ci fanno apprezzare in maniera definitiva la fattura degli arrangiamenti oltre al carisma del gruppo.
The suspension bridge on Iguazu falls estratto da "TNT" ci riporta al periodo d'oro della band con fraseggi di chitarra e vibrafoni con richiami ambient e jazz, per poi rientrare nel kraut del brano scelto come singolo, Gesceap, dal lungo intro di synth e splendido finale soprattutto nella parte di batteria. Si arriva quindi alla parte più rock della serata con due brani che spingono su di giri tutti, Prepare Your Coffee e High class slim came Floatin' in, per poi tirare il fiato con la “ballad” Yonder Blue senza la parte vocale di Georgia Humbley.
Poi il bis doppio: dapprima Crest e At Odds with Logic, quindi Monica (da "Standards", 2001) e In Sarah, Mencken, Christ, And Beethoven There Were Women And Men (da TNT, 1998), quasi irriconoscibili rispetto alle versioni in studio, con l'ennesimo duello di batterie fra Herdon e Bitney.
In chiusura ancora un bis, I Set My Face to the Hillside, sempre da TNT, perfetto come saluto alla città eterna. Tirando le somme abbiamo ascoltato un ottimo concerto, la qualità della band live è indiscutibile, lo si capisce dal fatto che siamo riusciti ad apprezzare, grazie alla performance, brani che in studio non ci avevano fatto brillare gli occhi e sintonizzare le orecchie.
Il suono minimale che si complica in progressione intrecciandosi col kraut, il jazz e la sperimentazione, la rotazione degli strumenti, tutto questo è post-rock nell'accezione non trita del termine. Avremmo goduto maggiormente se avessero trovato spazio in scaletta brani come Glass Museum, ma si sa, chi si accontenta gode.
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