J. Peter Schwalm & Stephan Thelen Transneptunian Planets
[Uscita: 03/06/2022]
Leggendo tra le righe… ehm… ascoltando tra le note… avevamo già trovato in passato negli ottimi Sonar di Stephan Thelen, labili tracce del remoto pianeta Gong che grazie al talento di Daevid Allen tanta genialità dispensò nei lontani anni ’70 del secolo scorso. Ritroviamo quell’andamento lento e pulsante in più di un brano di questa nuova opera condivisa con l’ambient/alista J. Peter Schwalm già prezioso collaboratore e sodale di un certo Brian Eno, oltre che autore in proprio e in decine di collaborazioni proprio come questa. Sia di Schwalm che di Thelen e dei loro rispettivi lavori più volte ci siamo occupati su queste pagine sempre traendone soddisfazione e la convinzione che ci sia in giro ancora gente capace di suscitare emozioni con la loro musica e questo nuovo “Transneptunian Planets” lo conferma una volta di più. Si citavano gli immaginifici Gong e pur non sapendo se esista una consapevolezza in merito ecco che tracce di quella lontana band riaffiorano felicemente in questo album che potremmo, come anche il titolo fa presumere, definire di psichedelia spaziale. Sono almeno tre (su otto) i brani riconducibili, infatti, a quella psichedelia visionaria, straniante e pulsante dove la chitarra di Thelen svisa, geme, strepita e dilaga sulle pulsazioni sintetiche delle tastiere elettroniche e i programming di Schwalm. Pluto che apre l’album è uno di questi con la sua cadenza ripetitiva e le percussioni sia troniche che naturali (Manuel Pasquinelli batterista dei Sonar) che guidano il primo viaggio interstellare verso i pianeti sconosciuti che gravitano oltre Nettuno, Anche Quaoar, guidata dal basso pulsante di Tim Harries si muove tra aperture celestiali e chitarre lancinanti che squarciano veli di assoluta astrazione, si può ricondurre ai fasti gonghiani come e ancor di più GongGong (omen nomen?) che vede J. Peter Schwalm addirittura vocalizzare (involontariamente?) alla Daevid Allen. Più legate all’ambient di cui il compositore tedesco è indiscusso maestro sono invece Orcus e Eris che mostrano la vena dark-ambient che Schwalm già ci ha fatto conoscere in passato con folate droniche più fosche e cupe. Ancora un ospite, Eivind Aarset alla chitarra e-bow (quella di Robert Fripp su Heroes di Bowie, per intenderci) sublima la bellissima Haumea che nonostante la fantascientificità dell’album ha un retrogusto mediorientale con tastiere flautate e poliritmi ficcanti e sostenuti. Protagoniste infatti sono anche le percussioni vere o “finte” che siano, ossatura indispensabile dell’album, come la marimba di MakeMake sulle ventate aliene di droni o come su Sedna che vede anche la quasi impercettibile voce campionata dell’ospite Nell Catchpole. Tutto questo in un album psichedelicamente siderale e ipnotico, dalle atmosfere mantrico-spaziali per un viaggio mentale e astrale senza confini conosciuti. Visionari sonori di tutto il mondo unitevi.
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