Mr. Elevator Goodbye, Blue Sky
[Uscita: 17/01/2020]
L'anno del Signore 2020 in casa Castle Face è iniziato nel segno dell'elettronica vintage, in continuo bilico tra scenari nostalgici e nebulose oscure. Già la ripubblicazione di “You Feelin' Me?” (2017) dell'australiano Mikey Young nell'autunno del 2019 ammiccava ad istanze eccentriche e l'uscita di un album per il progetto di musica elettronica L.A. Takedown a marzo 2020 conferma l'approfondimento di Castle Face per 'musichehauntologiche'. Nel mezzo, l'esordio solista di Mr. Elevator, cioè il tastierista Tomas Dolas, di recente arruolato nelle file degli Oh Sees (compare in “Smote Reverser”e“Face Stabber”) ma già conosciuto come Mr. Elevator insieme ai Brain Hotel (famoso il loro “Nico And Her Psychedelic Subconscious”, 2013). In linea con le rivisitazioni passatiste dell'etichetta californiana, “Goodbye, Blue Sky” si muove tra accenni di elettronica tastieristica e innocente psych-pop color pastello. Dolas si gioca subito la carta della stasi schultziana (Waiting) e si mette subito alla ricerca del suo Donovan interiore (Love Again, Alone Together, Anywhere), inserendo musiche da vaudeville psichedelico (Bamboo Forest), droni celestiali (Brobdingag). Quando sembra che il disco prenda una svolta sperimentale, Down annacqua tutto in uno slow-tempo anni '80 e Kompressor rincara la dose con un metronimico synth-pop in odore di L.A. Düsseldorf. Sylvia e Patterns tornano sui binari di Jacco Gardner e di uno psych-pop pennellato di malinconia. Mr. Elevator si rivela un progetto assolutamente interlocutorio, portando un'accoppiata (psichedelia anni '60/sound anni '80) che ha già dato molto nel panorama della musica alternativa. Dolas si mostra più efficace negli episodi di elettronica-ambient (Waiting, Brobdingag, Bamboo Forest) mentre nella scrittura delle canzoni si fa un po' fatica a capire il perché lo si dovrebbe preferire a gente come Ariel Pink o i Tame Impala.
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