Arturo Stàlteri From Ajanta To Lhasa
[Uscita: 27/10/2020]
Arturo Stàlteri è artista dai mille talenti. Innovatore dei canoni del rock progressive negli anni ‘70, con i Pierrot Lunaire, con dischi del calibro di “Pierrot Lunaire” e “Gudrun”, nei quali riusciva a coniugare gli stilemi classici del genere con le istanze più ardite e rivoluzionarie della musica elettronica; autore solista di raffinatissime produzioni discografiche in bilico tra minimalismo e classicismo pianistico (virtuoso del piano, Arturo era stato allievo dell’inarrivabile Maestro Aldo Ciccolini), con album di straordinario tratto qualitativo tra cui ci piace segnalare: “Andrè Sulla Luna” (1979), “E Il Pavone Parlò Alla Luna” (1987), “Flowers” (1995), “Circles” (1998), “CoolAugustMoon” (2000), “Rings. Il Decimo Anello” (2003) e via trascorrendo fino all’ultimo lavoro del 2019, “Trilogy”, nei quali come corpi astrali di una luminosa e variegata galassia sonora si incrociavano stilemi danzanti tra il minimalismo di Philip Glass, il pop avanguardistico di Brian Eno, il tocco pianistico di rara eleganza rinviante alle suggestioni visionarie di Erik Satie, i segmenti sperimentali dell’opera più ardimentosa del Franco Battiato di “Fetus”, “Pollution” “Sulle Corde Di Aries”. Esce ora, come rievocato dai meandri del tempo, “From Ajanta To Lhasa”, in edizione in vinile colorato in arancio (100 copie) e nella versione normale nella classica livrea nera (200 copie), oltre che nella versione digitale. Un viaggio temporale nel cuore del suono più sperimentale e dilatato, la cui ascendenza mistica è la cifra più rilevante. Materiale che Stàlteri aveva registrato al ritorno da un viaggio di due mesi in India nel 1979, presso lo Homestudio, e rimasto in embrione fino ai giorni nostri. Per i tipi della Soave vede la luce adesso, e mette in evidenza un suono dilatato e meditativo, nel quale risaltano come strumenti principali l’organo Farfisa, il piano elettrico, l’arpa synth, le chitarre, elettrica e classica, il bouzouki, la balalaika, il sitar, il flauto, le percussioni e il clarinetto indiano, oltre alla voce narrante di Fabrizio Diofebi in Studio N. 6. Musica per la mente e lo spirito, come sulle ali trasparenti di un gabbiano, già a partire dalla traccia eponima del disco, From Ajanta To Lhasa, una trasvolata di più di un quarto d’ora sulle orme del grande Terry Riley (quello di “Persian Surgery Dervishes”), con le tastiere elettroniche a dominare il proscenio lungo una distesa di sonorità di pura meditazione mantrica. Il tocco orientale guarnito di elementi sperimentali di Nu Atrest Lebe Ich Mir (da Palästinalied del poeta alto-medievale tedesco Walther von der Wogelweide) introduce alla superba suite “solare” di The Sun, articolata in brevi frammenti sonori come estrapolati dal nucleo stesso dell’astro diurno quali 8.3 Light Minutes, Solar Wind, Solar Flare, Sun Spots, Solar Spicula, tutti contrassegnati da suoni di quieta dimensione meditativa, alla maniera dei Popol Vuh di “Hosianna Mantra”. La già citata Studio N. 6, con lo spoken word di Diofebi, con un sottofondo di piano ed electronics, fa da prologo alla sontuosa traccia finale, “Floating Moon” (ispirata al prode Arturo dalla vista di una luna gigantesca che si specchiava, tralucendo di là da misteriose ed evocative brume, sul mare di Goa), ebbra di note di piano che creano un’atmosfera di puro incanto musicale, che pone il giusto e raffinato suggello a un album di pregevole fattura artistica.
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