Edda GRAZIOSA UTOPIA
[Uscita: 24/02/2017]
Edda è l’eteronimo con il quale Stefano Rampoldi ha dato pubblicità a un nuovo inizio personale e artistico dopo l’avventura quasi-epica, non meno che quasi-fallimentare, dei Ritmo Tribale. Giova in questo caso parlare di eteronimia perché Edda non è affatto un modo di dire, oggi è in uso l’orrenda soluzione linguistica moniker per la quale ancora non si è trovata soluzione legale; al contrario Edda è un personaggio concettuale a sé che vive e scrive, o meglio è causa della scrittura del cantautore Rampoldi il quale, come è noto, ritrova Edda nella sua stessa famiglia essendo questo il nome di sua madre. Non è oziosa questa digressione se è vero che il nuovo lavoro “Graziosa Utopia” possiede tutti i caratteri del lavoro compiuto in terza persona. Solo in questo modo si riesce infatti a dar ragione dell’estrema, pornografica prossimità biografica dell’impasto sonoro e linguistico del disco. Già il precedente “Stavolta Come mi Ammazzerai?” aveva dato segni di un certa ricerca del bozzetto biografico, ma poi ogni tassello era squassato da un forte impianto rock che leniva ogni velleità tardo-romantica in una galleria da nuovi-nuovi-mostri. Edda invece è qui, in “Graziosa Utopia”, con il suo cuore pop completamente messo a nudo che fiorisce solo nelle patetiche profondità melodiche anni ’60 di Spaziale alla quale collabora Federico Dragona dei Ministri. La melodia, si diceva, una specie di traduzione di un Von Sacher-Masoch di provincia che straparla invece di sculacciare la sua venere in pelliccia: «Tu sei la figlia del demonio/o la figlia di Sant’Antonio» recita più volte Benedicimi, per altri versi uno degli esiti più tirati e ben torniti dell’intero album. E così la stessa appiccicosa melodia può rasentare la stucchevolezza di quel chewing gum adatto ai palloncini, e non è peregrina la metafora se il brano in questione di melensa psichedelia ha il nome di Zigulì.
Ma come è noto la melodia è un modo come un altro per definire la sequenza sonora chiamata musica e non un accidente squisito della composizione, la melodia di per sé è al di là del bene e del male come mirabilmente illustrano le infallibili orecchiabilità di Un Pensiero d’Amore che pure ha dalla sua un poderoso lavoro in fase di arrangiamento tale da spingerla verso sonorità vagamente dance e una certa atmosfera alla Knife. Così come è l’intarsio delle chitarre a salvare Brunello dalla stanchezza wave (senza new) il nascondino lirico a cui Edda sottopone i suoi testi indecisi tra un serio ermetismo e la boiata. La Liberazione da questo punto di vista è un anello di congiunzione con l’altro lato di Edda, quello ironico, ben orchestrato nelle magistrali ruvidezze di Giovanni Truppi alla chitarra e animato da un intelligente ribellismo formato cicisbeo che grida «ho la fortuna di non valere niente/arrivederci a Roma/ti posso sputare».
Abbiamo tuttavia lasciato in chiusura il riferimento alla purezza compositiva e agli strappi lirici che riconosciamo essere la forma nella quale Edda ha una sua speciale inconfondibile fattezza, vale a dire la continente rarefazione di Signora nella quale si condensa in un diamante finissimo la forza espressiva delle sfaccettature compositive e una brillantezza melodica che avevamo già potuto apprezzare in alcuni momenti di “Semper Biot”. L’impressione è che Edda proceda ormai da anni per strappi compositivi, lunghi soliloqui dai quali non sempre è possibile estrarre qualcosa di facilmente esportabile in un contesto dialogico o banalmente comunicativo. Ciò che tuttavia sembra caratterizzare maggiormente questo lavoro di Rampoldi/Edda rispetto ai precedenti lavori da solista è una sorta di irrequieta rincorsa solitaria a un luogo segreto e per farlo occorra elaborare un pensiero strategico dell’intimità, come se il sociale non fosse più un campo attraversabile. E non solo dai conflitti, ma anche dalla possibilità stessa di relazione. Il conflitto è luogo dell’anima. Edda dixit.
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