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23 Ottobre 2019

Avishai Cohen & Yonathan Avishai Playing The Room

2019 - ECM
[Uscita: 05/09/2019]

Non è certamente la coincidenza tra un nome e un cognome a portare il barbuto trombettista Avishai Cohen (omonimo peraltro del più anziano contrabbassista) a incidere un disco col pianista Yonathan Avishai. La collaborazione tra i due, israeliani di nascita, ma di adozione newyorchese il trombettista, francese il pianista, nasce già col quartetto Thirld World Love ideato da Omer Avital, e prosegue in varie formazioni. La sintonia tra i due si sente sin dal primo brano, Opening, scritto da Cohen, che ci porta in un mondo di note rarefatte, come potevamo aspettarci sia dalla scarna formazione (tromba e piano) che dall'etichetta scelta, la ECM di Manfred Eicher. Ma se a volte i dischi ECM sono accusati di eccessiva freddezza o astrazione, non è questo il caso di “Playing The Room”. Già dai due brani iniziali si sente la volontà di proiettarsi in un universo sonoro molto classico, in cui le dissonanze sono presenti ma non ardite, e i temi suggestivi. Non è l'Avishai Cohen che il vostro cronista aveva apprezzato live qualche anno fa (in trio con Roberto Gatto e Rosario Bonaccorso), molto più free e avventuroso, ma non è una colpa, qui il trombettista si libra rispettoso dei modelli alti, disegnando fraseggi morbidi, sfidando gli acuti senza esagerare. Il lavoro al piano di Yonathan è essenziale, con brevi arpeggi e ostinati percussivi. L'Avishai pianista firma il secondo brano, Two Lines, quindi i due musicisti si cimentano con le divinità, Coltrane ed Ellington, per poi confrontarsi con altri grandissimi del jazz ma anche con Stevie Wonder: il duo sorprende trasformando Sir Duke in una sognante lullaby. La ballad è il tempo preferito dai due, con anche un'incursione nelle dodici battute, Ralph's New Blues, di Milt Jackson. Nei temi più melodici, specie quando Cohen usa la sordina, come in Azalea, è ineluttabile che il pensiero corra ai giganti dello strumento, ma è inevitabile: è impensabile che un musicista nato nel 1978 (1977, invece, la data di nascita del pianista) non si rifaccia alla lezione di chi lo ha preceduto inventando gli stili di riferimento. Non ci troviamo di fronte a un disco che cambierà la storia della musica; certamente quello che ascoltiamo è un disco riuscito, in cui si fondono perfettamente momenti melodici con altri più sperimentali, grazie allo stile sicuro, sempre molto cantabile del duo, più lirico il trombettista, più minimale il pianista. Disco assolutamente consigliato sia a chi adora il jazz che a chi non lo considera come sua prima scelta in fatto di gusto musicale.

Voto: 7.5/10
Alfredo Sgarlato

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