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22 Luglio 2020 ,

Built To Spill Built To Spill Plays The Songs Of Daniel Johnston

2020 - Ernest Jenning Record Co.
[Uscita: 12/06/2020]

C’è sempre un po’ di polemica nell’aria quando si parla di cover album. Per una band già affermata, l’intricata missione di penetrare lo spirito dell’artista e di consolidarne l’essenza attraverso i propri mezzi stilistici viene spesso ricevuta con giudizi contrastanti, in bilico tra disastrosi fallimenti e sorprendenti riuscite. L’impresa del cover record risulta ancor più difficile da raggiungere quando l’artista in questione è un pilastro dell’outsider music come Daniel Johnston. Nel 2017, la carovana indie guidata da Doug Martsch dei Built To Spill fu convocata dal management di Johnston per offrire i suoi servigi come backing band del rivoluzionario songwriter texano. Le undici tracce, registrate dal trio del 2018, sono la materializzazione delle prove in studio attraverso gli occhi del gruppo: con “Built To Spill Plays The Songs Of Daniel Johnston” (Ernest Jenning Record Co.), il trio indie Idaohano si cimenta nell’impresa di offrire una metamorfosi più fresca e rilassata della frammentata musica dell’artista di culto. Nella 'in memoriam' di Martsch, i semplici classici di Johnston sono ripuliti e tirati a lucido, denudati della loro stranezza e spiazzante personalità: la loro natura frammentata è ricomposta seguendo istruzioni indie-pop, evidenziando il potenziale e l’impatto che le canzoni di Johnston avrebbero potuto avere se munite di una maggiore orecchiabilità e sofisticazione uditiva. Le lunghe torsioni strumentali e le strutture frammentate e complesse tipiche dei Built To Spill, esaltate dall’acclamato lavoro di Martsch sulle sei corde, vengono qui abbandonate in favore delle metalliche scampanellate di chitarra acustica e i beat dal vivace sentimentalismo, in cui l’elettricità, il virtuosismo e la distorsione giocano il ruolo di comparse sul palcoscenico musicale. Il genio incompreso di Johnston in quanto autore lirico traspare attraverso educate e docili risposte dei suoi migliori brani attraverso una discografia massiccia e spesso trascurata, spaziante attraverso i suoi 30 anni di attività e una concisa selezione dei suoi 17 studio album. Difatti, Il materiale è attinto sia da dischi figli del nuovo millennio ("Why Me?", "Fear Yourself", "The What Of Whom", "Is And Always Was") che da album di culto degli anni ’80/90 ("Artistic Vice", "Fun", "Respect"), di ispirazione a una moltitudine di leggende rock (tra cui, primo su tutti, Kurt Cobain). La semplicità di queste giocose reinterpretazioni pop gioca a favore dello storytelling dallo stile unico ed inimitabile, alternando momenti sognanti e malinconici (Tell Me Now, Impossible Love) a frammenti di esilarante stravaganza lirica (Queenie The Dog, Fake Records Of Rock n’ Roll). L’esistenza stessa e l’eredità di Johnston sono un’inno alla bellezza dell’imperfezione e alla meraviglia della fragilità, una panacea per quando il nostro senso di apparenza viene a mancare. Le sue canzoni (tra cui spiccano le meravigliose melodie oniriche di Good Morning You, Honey I Sure Miss You, Life in Vain) sono veri e propri tesori nascosti nella storia della musica, e di questa ci ricordano che se ne può venire colpiti  anche nella sua forma più ingenua ed imperfetta. Nonostante l’album si allontani notevolmente dalla straziante ed alienata essenza del songwriter di culto, il tributo dei Built To Spill è una piacevole ode al trascurato genio dell’icona indie e al suo irripetibile contributo, e non porta avanti pretesa alcuna se non la nobile ambizione di tramandare l’eredità di Johnston di fronte alle nuove generazioni. Purtroppo, di questo disco Johnston non può vedere la realizzazione. Ma ovunque sia, sta sicuramente sorridendo.

Voto: 7/10
Gabriele Bartoli

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