Van Morrison ASTRAL WEEKS
Pensate ad un disco così bello che persino la sua recensione è un capolavoro. Il disco è “Astral Weeks” di Van Morrison e la recensione ovviamente non è codesta ma quella di Lester Bangs. Nel 1968 Van Morrison è un cantante rock di successo: era il frontman del gruppo Them e la loro Gloria era uno dei brani più coverizzati dalle garage band. Ma con “Astral weeks” Van fece qualcosa di completamente diverso, come direbbero i Monthy Pithon. Innanzitutto qui Morrison si fa accompagnare da un quintetto di estrazione jazz: John Payne, fiati, Warren Smith, vibrafono, Jay Berliner chitarra, Richard Davis, contrabbasso, Connie Kay, batteria. Una strumentazione piuttosto anomala, non c'è pianoforte, chitarra e basso sono rigorosamente acustici. Sugli ultimi due musicisti vale la pena di soffermarsi. Connie Kay (Conrad Kirnon) è stato il batterista del Modern Jazz Quartet, gruppo che tentò una fusione tra il jazz e la musica da camera. Col suo stile leggiadro e sofisticato diede un contributo fondamentale al suono del quartetto.
Richard Davis spesso si è legato a musicisti di avanguardia ed appare in pietre miliari del jazz come “Out to lunch” di Eric Dolphy”, “Rip Rig and panic” di Roland Kirk e “Point of departure” di Andrew Hill, oltre ad essere il maestro di William Parker. I brani di Astral Weeks sono lunghi e articolati, solo The way young lovers do si può considerare una canzone nel senso classico del termine. La voce di Morrison, influenzata dai cantanti soul, è il vero strumento solista, mentre gli altri musicisti ricamano sullo sfondo, quasi senza distinzione tra sezione ritmica e strumenti melodici. A questo punto si potrebbe fare una discussione teorica: è giusto considerare un capolavoro del rock un disco che in fondo di rock ha ben poco ma è piuttosto una miscela di soul, jazz e folk irlandese? Discorso che si potrebbe fare per altri dischi considerati tra i capolavori assoluti del rock come “Hot Rats” o “Starsailor” o “Rock Bottom”. Ma in fondo rock è un termine onnicomprensivo: chiamiamo rock tutto quello che non è classica (cioè musica scritta da accademici), jazz (cioè musica improvvisata) o folk (cioè musica di tradizione orale).
Chiusa la parentesi teorica rimane il disco: che è un capolavoro. Commovente, eccitante, sperimentale eppure di ascolto non difficile. Le canzoni sono in gran parte ballate, come Madame George, storia di un vecchio travestito che mendica sigarette ai ragazzini che lo prendono in giro, Ballerina, o Cyprus Avenue, impreziosita dal clavicembalo del produttore e arrangiatore degli archi Larry Fallon: Madam George racconta di un maniaco che si apposta per spiare le ragazzine che escono da scuola. Una storia così dovrebbe muoverci al disgusto, eppure colpì particolarmente l'immaginazione di Lester Bangs. Chi era Lester Bangs dovrebbero saperlo tutti. Critico di Rolling Stone, stupiva per la personalità della scrittura e l’intransigenza dei giudizi. Bangs, in un articolo che commemorava il decennale del disco che amava di più in assoluto, insieme a “White light white heat” (potete trovarlo in “Guida ragionevole al frastuono più atroce”, Minimum fax 2005) sviscera il disco fino a concludere che nessuno ha cantato così la sofferenza. Ecco da cosa nascono i capolavori.
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