Vinicio Capossela CANZONI DELLA CUPA
[Uscita: 05/05/2016]
#consigliatodadistorsioni
La terra ha un ventre gravido di promesse non mantenute, di storie andate a male e di vite riscattate dalla fatica e dal lavoro. Come un custode silenzioso, la terra ci ricorda il suo vincolo di appartenenza troppo spesso rimosso, restituendoci il tracciato dei sentieri battuti da viandanti senza volto. Dopo la pubblicazione del libro “Il paese dei coppoloni” (Feltrinelli, 2015) e del documentario “Nel paese dei coppoloni” diretto da Stefano Obino ed ambientato nell'alta Irpinia, Vinicio Capossela, con il doppio album intitolato “Canzoni della Cupa”, porta a compimento un progetto di ricerca e recupero etno-antropologico dell'entroterra più misconosciuto.
Anche in questo caso Capossela è riuscito ad essere credibile e per nulla oleografico nel rintracciare echi di un passato mai morto e che scorre immutabile nei racconti perduti della tradizione sotterranea. Sono proprio quelle storie antiche a rinnovare la suggestione del mito, della metafora e dell'allegoria sottesa nei tanti riti di passaggio in cui i diavolacci danzano con l'uomo attorno al fuoco. In questo senso Canzoni della cupa è un lavoro dalla doppia natura, solare e notturna insieme, rappresentata da due dischi diversi ma complementari nel loro modo di intersecarsi: da un lato “Polvere” raccoglie sedici adattamenti del cantastorie Matteo Salvatore le cui registrazioni risalgono al 2003, dall'altro “Ombra” è composto da dodici nuovi brani in cui Vinicio è spalleggiato da ospiti d'eccezione come Calexico, Howie Gelb, Los Lobos, Giovanna Marini e Flaco Jimenez.
L'album non è altro che un lungo viaggio iniziato da Apricena, paese natale dello stesso Matteo Salvatore, passando per Cabras in Sardegna, sino ad arrivare al deserto dell'Arizona lungo il confine con il Messico, come a spalancare idealmente le porte di un rito misterico che mescola religione e paganesimo. Il capitolo Polvere inizia con il blues disossato di Femmine e con la dolorante Il Lamento dei mendicanti, prima che la tarantella di La padrona mia e di Dagarola del Carpato inaugurino le danze. In Zompa la rondinella l'attitudine mariachi si fonde con la delicatezza del testo che riporta tutto alla semplicità dei sentimenti, così come l'incedere svergognato di Pettarossa. Da segnalare il linguaggio impossibile di Nachecici e la malinconia serale de Lu furastiero. Se Polvere è luce accecante, sole che brucia il collo, Ombra è la notte con la sua inquietudine, il levarsi delle creature dell'inconscio, musica primigenia che condensa la descrizione di uomini e bestie, di superstizione e treni che portano lontano.
Ecco che Scorza di mulo è un blues nero, Il Pumminale è il racconto di un fedifrago trasformato in maiale, Le creature della Cupa sembra una di quelle storie per impaurire i bambini, mentre La notte di San Giovanni e Componidori hanno un forte imprinting morriconiano. Canzoni della Cupa mette in rassegna tutto l'immaginario di Capossela, oggi l'unico in Italia in grado di realizzare un progetto così complesso, senza tracimare nell'intellettualismo o nella faciloneria. Disco non solo per la mente, ma anche per il cuore ed i sensi, in un turbinio che cancella peccato ed espiazione: “Sprofondiamo senza ritorno nella grazia che porta all'inferno, danzeremo bruciando nel vento fino ad essere polvere e cenere”.
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