Norah Jones DAY BREAKS
[Uscita: 07/10/2016]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Un album bello e raffinato. Diciamolo subito, senza remore, anche a costo di rischiare di mandare in bestia coloro che amano inscatolare tutto, limitare dentro un ambito preciso, con rigore di generi, forme, stili. Coloro che hanno bisogno di schemi ben delineati e prescindono da ciò che può essere considerata, in buona sostanza, dell’ottima musica che non si può chiudere dentro schemi precostituiti. “Day Breaks”, il sesto album di Norah Jones è bello e raffinato, proprio perché si tratta, tout court, di ottima musica, che si fa ascoltare, che si fa assaporare, che affascina. C’è del puro jazz, c’è una buona dose di soul, c’è, il che non guasta, un pizzico di buon pop e c’è, soprattutto un ottimo apporto interpretativo, della figlia di Ravi Shankar in prima battuta, con la sua voce elegantissima, dotata di fascino e di carisma, e delle star che l’accompagnano: John Patitucci contrabbassista italo-americano di gran razza, già colonna dell’Elektric Band di Chick Corea, il settantaquattrenne organista Dr.Lonnie Smith, il quarantaseienne Brian Blade, batterista che è un session man apprezzato e ricercato dai Grandi, il “giovanissimo” ottantatreenne Wayne Shorter, che ha prestato per un lungo periodo il proprio sax ai mitici Wheather Report.
Ci piace ricordare l’occasione nella quale, una quindicina di anni fa, Blade e Shorter erano i due quarti di un formidabile supergruppo (gli altri due erano Herbie Hancock al piano e Dave Holland al contrabbasso), che ci consentì di ascoltare un concerto memorabile, di scoprire un giovane e promettente drummer che faceva pensare a Max Roach e di conoscere quattro bellissime persone che si son fatte intervistare con grande disponibilità. Con quel fior fiore di collaboratori musicali, Norah Jones snocciola nove brani inediti e tre cover, Don’t Be Denied di Neil Young, Fleurette Africaine (African Flower) di Duke Ellington e Peace di Horace Silver, per cui non è proprio necessario andare a scomodare gli originali per inutili confronti, anche se a tratti la Jones potrebbe risultare àlgida e mantenersi entro i limiti di un’interpretazione pulita e lineare, nulla di più. Nella title-track viene fuori la Norah Jones che conosciamo, mentre Flipside sembra scritta ed arrangiata dal Joe Jackson di Steppin’ Out ed offre un testo molto impegnato, che affronta i drammatici casi degli scontri fra polizia e colored people.
In quattro o cinque brani a farla da padrone è il sax di Shorter -in Fleurette Africaine, per esempio-, che in certi momenti “ruba la scena” alla titolare dell’album grazie ad un suono possente e molto convincente, da par suo. Once I Had A Laugh risulta accattivante con il ricorso ad una sezione di ottoni, mentre And Then There Was You è un valzerino delicato e gradevole nel quale interviene un’intera sezione di archi. Il tutto per il piacere dell’orecchio.
Video →
Correlati →
Commenti →