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17 Ottobre 2019

Addio A Ginger Baker (19/08/1939-06/10/2019)


 

Una carriera lunghissima, particolarmente eclettica, illuminata da sfolgoranti luci e offuscata anche da qualche ombra quella del “grande vecchio” batterista Ginger Baker che, essendo nato nel 1939, era sempre stato qualche anno più anziano dei suoi sodali rock, escludendo ovviamente i suoi padri putativi quali John Mayall, Cyril Davies, Graham Bond o Alexis Korner che lo accolsero, da ragazzo nelle loro band o Phil Seiman, mitico, per il giovanissimo Baker, batterista jazz inglese attivo già negli anni ’50, con il quale Ginger riuscirà a suonare, coronando un sogno, quando nel 1970 formerà la sua corposa big band (dieci elementi) Air Force basata su fiati e percussioni e pubblicando, in quello stesso anno, due ottimi album, tra jazz, rock e musica africana, entrambi doppi e dei quali il primo dal vivo. Ma occorre fare qualche passo indietro per valutare il valore di un batterista di notevole rispetto ma mai assurto al vero ruolo di rockstar. Dopo le esperienze formative coi nomi già citati che faranno da fucina per sodalizi futuri ecco che Baker, il tastierista e sassofonista Graham Bond, il bassista Jack Bruce e il sassofonista Dick Heckstall-Smith (che ritroveremo nei valorosi Colosseum) salutano i Blues Incorporated di Alexis Korner, prendono la porta e gli strumenti e vanno a formare una band tutta loro, la Graham Bond Organisation, pubblicando tre album “Live at Klooks Kleek” del 1964 e “The Sound Of ‘65” del 1965, e “There’s A Bond Between Us” ancora nel 1965 che sono tre piccole perle, nonché misconosciute ai più, di quel British Blues che in Inghilterra sprizza scintille incandescenti con ottime band e validi solisti più o meno in quel periodo.

Ma la band di Bond (ci si perdoni il gioco di parole) non dura più di tanto. Quel Bond, che preferiamo all’agente 007, intraprenderà una più che discreta, e anch’essa poco conosciuta ai più, carriera solista, prima di morire in circostanze misteriose investito da un treno della metropolitana londinese. Ed è dopo l’esperienza con Graham Bond che per Ginger Baker arriva il momento magico dei Cream: insieme a Jack Bruce accoglie il virtuoso chitarrista Eric Clapton anch’egli precedentemente alla corte di John Mayall e, grazie a quest’ultimo, le coordinate del trio si spostano, anche se non troppo, dal classico British Blues a un rock più arioso e allo stesso tempo un po’ più hard che permette di mettere in luce le qualità strumentali dei tre musicisti. Per l’uomo dai capelli rossi (da qui il soprannome Ginger) è il momento di massima gloria, i Cream pubblicano quattro album di grande successo:"Fresh Cream" (1966), "Disraeli Gears" (1967), "Wheels Of Fire" (1968) e "Goodbye" del 1969 che, come preannuncia il titolo, sancisce la fine della band e certifica il brutto carattere di Baker che fatica ad andare d’accordo con qualcuno per più di qualche anno. Seguiranno in anni successivi il "Live Cream Vol 1" e l’omonimo "Vol. 2" a documentare il valore effettivo della band sul palco, anche se a dire il vero nella versione live di Toad, Baker si prodiga in un solo di batteria di una decina di minuti che sfiancherebbe per noia anche l’ascoltatore più indefesso. Finita l’avventura Cream si cerca di ricreare il mood che portò al successo il trio; estromesso Bruce col quale Baker aveva avuto molti screzi, Clapton recupera il batterista rosso e con Steve Winwood (voce e tastiere) proveniente dai Traffic e Ric Grech ex family, forma i Blind Faith, supergruppo che prometteva tanto ma che non mantenne le promesse limitandosi a un solo album, invero famosissimo ma, appunto, più famoso che valido; nella fattispecie a fronte di una canzone capolavoro quale Can’t Find My Way Home di Winwood e della buona Presence Of The Lord di Clapton il resto non è proprio all’altezza di cotante personalità, ed è proprio Do What You Like, il brano ad opera di Baker che, ragionando in termini di Lp, occupando quasi un’intera facciata con i suoi quindici minuti di durata, risulta un riempitivo piuttosto noioso e forse addirittura inutile. Ma l’eclettismo di Baker è incontenibile, degli ottimi Air Force abbiamo già detto, quindi il suo interesse per la musica africana lo porta ad incidere un album con il più noto musicista di quel continente: Fela Kuti, poi pubblica una manciata di trascurabili album solisti prima di arruolarsi nell’esercito dei fratelli Gurvitz (Baker Gurvitz Army) con i quali inciderà tre interessanti album. A questo punto parlare di eclettismo è addirittura limitante, una sorta di bulimia musicale conduce Baker alle esperienze più multiformi e disparate: fa un passaggio veloce negli Atomic Rooster pur senza incidere niente con Vincent Crane e soci, poi suona in Levitation degli spaziali e psichedelici Hawkwind, divide la batteria col mitico Tony Williams in “Album” grande disco del 1986 attribuito ai Public Image Ltd di Johnny Rotten, ma in realtà progetto di straordinario supergruppo voluto da Bill Laswell con il quale Baker suonerà in seguito jazz rock postmoderno in due album dei suoi Material. Ma il batterista non si ferma, forma ancora un paio di band: i Nutter con i quali incide un paio di album e i BBM, acronimo di Baker, Bruce (il redivivo Jack) e Gary Moore, notissimo chitarrista blues, col tentativo di rinverdire (senza però riuscirci) gli antichi fasti dei Cream incidendo un album nel 1994 dal titolo “Around The Next Dream”. E non è finita, Baker suona ancora con i pesantissimi Master Of Reality (Black Sabbath oriented) in “Sunrise In The Sufferbus” (1993) e pubblica ancora a suo nome (Ginger Baker Trio) nel 1994 “Going Back Home” un buon disco di jazz in trio con i grandissimi Charlie Haden al contrabbasso e Bill Frisell alla chitarra. Poi la ciliegina sulla torta di quasi fine carriera avviene con la reunion dei Cream che nel 2005 si ritrovano nella storica formazione originale per una serie di concerti alla Royal Albert Hall documentata da CD e DVD. Nonostante quanto scritto finora, sappiamo di non essere stati totalmente esaustivi sulle molteplici esperienze vissute da un batterista inglese che già nel 1955 a soli sedici anni suonava in tour per l’Inghilterra, per terminare, per ragioni di salute, i suoi impegni musicali nel recente 2016 vantando, oltre quelle citate, altre collaborazioni prestigiose, creazioni di nuove band durate lo spazio di un mattino o di un solo album, numerose altre incisioni e concerti live. Ed è proprio a causa di quei citati problemi di salute che Ginger Baker, il batterista rosso dalla tecnica invidiabile e dal brutto carattere, ci ha lasciati il 6 ottobre 2019 ad ottant’anni giusti dalla nascita e a più di sessanta di onoratissima carriera.

Maurizio Pupi Bracali

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