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8 Marzo 2014 ,

Appaloosa Oltre i confini


Appaloosa L'occasione di intervistare gli Appaloosa arriva in seguito all'uscita del loro ultimo album "Trance44". Come già accennato in sede di recensione, questa nuova prova discografica è stata interamente prodotta dai soli Niccolò Mazzantini e Marco Zaninello i quali, oltre a suonare basso e batteria, hanno sviluppato il proprio approccio con l'elettronica senza l'ausilio di Simone Di Maggio (Di Maggio Baseball Team). Per quello che invece riguarda le loro performance dal vivo, gli Appaloosa si presentano con un organico integrato da Dyami Young all' elettronica (Loopdiggaz, Apes On Tapes) e Diego Ponte che già dall'anno scorso è andato a sostituire Michele Ceccherini al secondo basso. Mentre raggiungiamo Marco Zaninello tramite posta elettronica, la band livornese, che in autunno ha nuovamente girato in lungo e largo l'Europa, è già impegnata con un nuovo tour che per il momento li vede impegnati nel solo territorio nazionale.

 

L'INTERVISTA

 

Aldo De Sanctis (Distorsioni) - Ciao, innanzitutto vi chiedo: come sta andando il nuovo tour? Che tipo di risposta state ricevendo dal pubblico che per la prima volta ascolta i vostri nuovi pezzi?

Marco Zaninello La risposta è davvero ottima: c’è molta gente ai concerti e sono tutti molto soddisfatti dal live. La scaletta nuova è molto divertente da suonare e questo penso favorisca la riuscita finale del concerto.

 

Appaloosa (WEB)Durante il vostro tour autunnale avete toccato diversi paesi europei e non è certo la prima volta. C'è un posto in particolare, in termini di preparazione culturale ma anche di mezzi tecnici che trovate, dove avvertite che la gente recepisce al meglio la vostra musica o dove comunque sentite di potervi esprimere al meglio?

Diciamo che a livello di accoglienza, situazione tecnica e pubblico, per ora la Germania è il posto che ci ha lasciato la migliore impressione.  Fin dalla prima volta che abbiamo suonato là, ed eravamo totalmente sconosciuti, abbiamo avuto la sensazione di essere musicisti completamente rispettati  e messi in una situazione che ha favorito il nostro lavoro al 100%. Il pubblico è molto attento e cresce esponezialmente ogni volta che torniamo, durante i live notiamo che le persone si abbandonano totalmente alla musica e vendiamo molto. In più la situazione tecnica è sempre sopra la decenza anche nei posti più piccoli.

 

appaloosaMentre per la preparazione di "Trance44", di cui parleremo tra poco, avete fatto quasi tutto in due, dal vivo gli Appaloosa tornano ad essere in quattro, con Diego Ponte che ormai vi affianca da quasi un anno e Dyami Young che con voi è salito sul palco già numerosissime volte (e che tra l'altro ha firmato un remix di Chinatown Panda nel 2012). Cos'è cambiato nella vostra alchimia durante le esecuzioni dal vivo?

Diego in realtà suona con noi da settembre, anche se io suono con lui in altri progetti dal ’96 circa, quindi anche se è un nuovo elemento c’era già una grande confidenza. C’è stato solo il tempo per provare per bene la nuova scaletta che poi abbiamo subito inaugurato con lui con circa 25 date in Europa. Già dopo una settimana l’alchimia era totale. Dyami ormai è con noi da due anni ed è totalmente integrato nel nostro progetto.

 

Arriviamo adesso al nuovo disco. Negli anni ho l'impressione che il vostro approccio creativo, pur rimanendo sostanzialmente radicale, sembra essersi parzialmente spostato (perdonatemi le etichettature) da un post-core matematico più intransigente, passando anche per forme rock più "tradizionali", ad una commistione con l'elettronica possibilmente ancora più profonda. Condividete questa analisi? E ancora: qual è stata la genesi di "Trance44" e cosa vi ha spinto a realizzarlo in duo piuttosto che includere da subito sia Young che Ponte?

Trance44 (copertina)Il nostro processo creativo è legato a un approccio molto istintivo e al fatto che ci annoiamo a produrre musica che negli anni rimane uguale o legata a particolari vincoli artistici. Diciamo che tendiamo a mantenere la nostra base “marcia” fatta di batteria e due bassi molto distorti a cui man man negli anni abbiamo aggiunto sempre più elementi, che sono synth, campionatori ecc. che ci permettono di spaziare e creare sempre un suono che non ci risulti già esplorato. Poi, le strade che prendiamo sono legate a un approccio totalmente distante dal progettare le cose a tavolino. Per questo disco ci siamo dati un’unica direttiva, che era creare il tutto rimanendo legati a un concetto di “trance music” inteso come tracce che, per la loro natura di composizione e dinamica, risultassero il più ipnotiche possibile. La produzione del disco è stata fatta in due sia perché abbiamo passato un periodo turbolento a livello di formazione - dato che Michele ha lasciato il gruppo quando abbiamo iniziato le produzioni e Diego è arrivato quasi alla fine - sia per un discorso di tempo e praticità. Di solito per fare un disco in quattro ci mettevamo un anno e passa, per poter fare entrare tutti i componenti dentro alle tracce. A questo giro abbiamo lavorato a casa separatamente e poi ci siamo trovati in studio per sviluppare le idee. Il lavoro si è concentrato in circa tre mesi ed è stata una bellissima esperienza aiutata dal fatto che io e Niccolò suoniamo insieme da più di dieci anni e ci capiamo al volo.

 

Nel 2012, poco prima dell'uscita di "The Worst of Saturday Night", avete dato alle stampe un album di soli remix realizzati da artisti di vostra fiducia. Credete che ci sarà spazio in futuro per un'operazione analoga?

Appaloosa-The-worst-of.Certo, il nuovo disco di remix è in lavorazione in questi giorni e sarà pronto per la fine di marzo. Non sappiamo ancora la data di uscita. Hanno partecipato sia artisti già presenti nel vecchio disco sia altri nuovi e siamo molto curiosi di sentire il risultato. Inoltre a questo giro faremo dei remix sia io che Niccolò.

 

 

Per concludere: venite da una città, Livorno, la cui percentuale di persone attive musicalmente è tra le più alte d'Italia e dove, per forza di cose, il contrasto tra produzione musicale e luoghi idonei affinchè un artista possa esprimersi sembra ancora più acceso. Qualche anno fa, durante una chiacchierata tra amici, se ricordo bene Simone Lalli (Autobam, Flora & Fauna) mi disse che Livorno, essendo al contempo facile sia perchè le persone si incontrino e sia per potersi isolare all'interno di uno spazio creativo, è un buon punto di partenza per poter produrre della musica (e non solo) ma che, al contrario, bisogna uscirne fuori per cercare consensi perchè da questo punto di vista il luogo appare arido. Insomma, sembra che una buona parte della città rimanga all'oscuro di ciò che avviene nel vostro ambito specifico, anche prescindendo dai generi musicali. Eppure, senza necessariamente evocare una scena, sono ormai molti anni che Livorno sforna in continuazione dell'ottima musica. Avreste voglia di darci un punto di vista dall'interno, raccontandoci per sommi capi la vostra esperienza?

appaloosaLivorno, è vero, è sempre stata piena di musicisti ed essendo una città medio piccola è più semplice che si crei una scena, nel senso che ci conosciamo tutti a livello personale e frequentiamo i soliti posti e spesso le solite sale prova. Quindi scambi, influenze e rapporti umani sono molto più semplici! Questo ha creato un forte legame artistico e di amicizia che è una cosa fondamentale e ultimamente siamo molto felici del fatto che i più giovani continuino a portare avanti questa passione. Chiaro che se non metti la testa fuori è difficilissimo uscire e creare qualcosa che non rimanga chiuso nei confini cittadini. Non ti regala niente nessuno e pensare di fare musica a Livorno aspettando che cada dal cielo un produttore è un’utopia. Quindi diciamo che qui è una ottima base per partire ma bisogna sempre guardare oltre. Nel nostro caso addirittura il problema è stato dover guardare oltre i confini nazionali, dato che in generale in Italia determinati tipi di musica meno convenzionali hanno grossa difficoltà a uscire rispetto all’estero.

Aldo De Sanctis

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