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6 Giugno 2021 ,

Lambchop Showtunes

2021 - Merge Records
[Uscita: 21/05/2021]

I Lambchop sono principalmente una proiezione di Kurt Wagner, figura attorno alla quale ruota un collettivo di musicisti scelti sulla base di dinamiche artistiche contingenti. Il nuovo “Showtunes” sembrerebbe scaturire dall’esplorazione da parte di Wagner delle possibilità offerte dall’elettronica e dalla conversione del suono della chitarra in quello di un pianoforte attraverso il semplice utilizzo di un collegamento MIDI. Sgombrato il campo da qualsiasi pregiudizio, diciamo subito che la musica di “Showtunes” è di una intensità disarmante, pervasa da una profonda umanità che si staglia come un ossimoro alla fibra, per così dire, artificiale del suono e del sottostante apparato di elaborazione e campionamenti. A chiudere il cerchio è bastato convocare il resto della band per dare piena compiutezza alle canzoni, con l’aggiunta dei fiati ed un lavoro minimale in fase di post-produzione. “Showtunes” è probabilmente l’album più introspettivo della discografia dei Lambchop, quello in cui prevale lo spessore personale di Wagner (la cui voce non è mai stata così poco profonda) e l’orizzonte di una ispirazione spalancato tanto alla canzone d’autore alla Randy Newman, quanto ai languori dei Bon Iver. Le otto tracce di cui si compone l’album, per un totale di poco più di trenta minuti complessivi, sono episodi di un musical immaginario, messo in scena sul palco di una Broadway cristallizzata e fuori dal clamore del tempo. Ogni singolo brano sembra intessuto di una sostanza eterea che  avvolge ogni cosa dentro un bozzolo sognante ed in cui il versante algido della dimensione sintetica è disinnescato da un contesto di calda eleganza. E’ come se le canzoni si dissolvessero nel momento stesso in cui termina la loro breve corsa, per trasfigurarsi in qualcosa di diverso nella memoria di chi le ha ascoltate, acquisendo la sostanza di una 'madeleine' dell’anima. A Chef’s Kiss si apre su un suono di organo su cui si poggia la voce prima che rintocchi di piano dolcemente scomposti scendano sul tappeto morbido dei fiati di CJ Camerieri e delle programmazioni di Ryan Olson; tutto è giocato su spazi sospesi, come nella magnificenza del grand piano in Drop C o nella strumentale Papa Was A Rolling Stone Journalist, uscita da un film degli anni ‘50. Il lavoro di editing non è per nulla invasivo, come nelle nebbie melò di Fuku che delinea i confini di una notte avvolta nei rimpianti. Unknow Man (anche per l’uso dell’autotune) ha reminiscenze di romanticismo alla Bon Iver, mentre Blue Leo è una ballad il cui classicismo è solcato da glitch. Dopo il secondo passaggio strumentale Impossible Meatballs, con la chitarra acustica che esibisce un cuore di Americana alla Bill Frisell, la degna conclusione è The Last Benedict, ad esaltare la fine di un viaggio magico. “Showtunes” è un’autentica sorpresa e si armonizza alla perfezione con i primi vagiti di un ritorno alla normalità della vita, sintonizzandosi con il ritmo rallentato del respiro quando un senso di appagamento si appropria di noi, senza una ragione e nonostante tutto.

Voto: 7.5/10
Giuseppe Rapisarda

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