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25 Agosto 2021 ,

Sufjan Stevens Convocations

2021 - Asthmatic Kitty Records
[Uscita: 06/05/2021]

“Ottima è la misura” è un motto attribuito a Cleobulo di Lindo, uno dei sette saggi dell’antico mondo greco. Il refrain suggerisce di prendere atto della propria finitezza, di accettare la propria condizione di essere limitato, soggetto alla morte, al decadimento ed in ultima istanza al dolore. Il dolore è l’oggetto di questa massima come – forse – lo è di ogni forma d’arte, e come certamente è il tema principale dell’ultimo album di Sufjan Stevens, "Convocations", pubblicato da Asmathic Kitty Records. Il lavoro del compositore americano, prodotto dalla sua etichetta, è profondamente ispirato dalla morte del padre. Rispetto a questo tragico accadimento personale, l’album si pone come un percorso introspettivo sviluppato dall’artista nell’elaborazione del lutto. "Convocations" è un disco monumentale che sfonda il limite delle due ore e trenta minuti di ascolto e si pone come proiezione musicale dei vari stadi che hanno attraversato l’esperienza personale dell’autore. Questo percorso graduale viene orchestrato da Sufjan Stevens in 5 movimenti, quasi a voler ricalcare la struttura delle composizioni sinfoniche della musica classica. Ciascuno di questi movimenti (Meditation, Lamentation, Revelation, Celebration, Incantation) è a sua volta composto da dieci brani numerati dall’uno al dieci, in numero romano (ad eccezione dell’ultimo che ne ha nove). Insomma, si tratta di un lavoro ben organizzato, ma mastodontico, dinanzi a cui è complesso per l’ascoltatore orientarsi. La maggior parte della composizione gioca su tempi semplici con ricche sonorità elettroniche e articolati fraseggi. Eppure, anche se gli spunti sono accennati, essi sono estremamente diluiti nel mare magnum della composizione. Due ore e trenta sono semplicemente esagerate anche se paragonate a grandi opere del passato. Giusto per citare qualche dato, la Nona di Beethoven dura 70 minuti, cioè meno della metà di "Convocations". La Terza Sinfonia di Mahler (tra le più lunghe di solito eseguite) dura ‘solo’ 95 minuti, cioè un’ora in meno del disco di Stevens. Il paragone sarebbe sterile se non servisse solo ad indicare che anche contenuti ben più intensi possono essere espressi con una sintesi maggiore di quella usata del compositore di Detroit. Il flusso di coscienza, del resto, sembra appartenere ad epoche letterarie ormai distanti da quella attuale. Peraltro, anche sul merito del lavoro, si potrebbero sollevare alcune critiche. Le linee di sinth, limpide e ben articolate, descrivono il dolore, ma non lo indagano. I layer del tessuto sonoro sono articolati, ma sfiorano solo la superficie del tema. Le melodie si fanno ascoltare, ma non incuriosiscono l’ascoltatore, che rimane sempre sull’anticamera, aspettando per la traccia che dia un senso all’album.  Se ottima è la misura, come diceva Cleobulo, viene da pensare che in questo caso Stevens non si sia attenuto alla sua; proponendo un lavoro cervellotico, complesso, ma insoddisfacente. Per rimanere sempre nell’antica Grecia, si potrebbe dire che Stevens abbia volato troppo vicino al Sole, e stavolta – come Icaro - si sia bruciato le ali, precipitando irrimediabilmente.

 

 

 

Voto: 5.5/10
Andrea Costa

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