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9 Novembre 2020 ,

Sufjan Stevens The Ascension

2020 - Asthmatic Kitty Records
[Uscita: 25/09/2020]

Sufjan Stevens si è già guadagnato l’eternità con le profondità emotive di “Carrie & Lowell”, album in cui scarnificava il dolore con lo strumento chirurgico del perdono. In quest’ottica non è con il recente “The Ascension” che si deve cercare la conferma di un talento dalla scrittura in qualche modo unica, sempre in grado di inerpicarsi negli anfratti irregolari dell’anima per fare risuonare i sogni di una infanzia tradita. La qualità media della produzione di Sufjan Stevens è sempre stata di ottimo livello, anche in episodi collaterali più o meno interlocutori come “Planetarium”, proprio perché si trova sempre sempre una costante: la disseminazione di una lettura della realtà come radice del presente e nello stesso tempo riparo interiore. Perché Stevens sa essere concreto anche quando finge di non esserlo, sa essere disincantato anche quando fa cantare cori di bambini mettendo in scena musical immaginari in cui il sipario della purezza copre ogni marciume. Le cronache raccontano che le canzoni di “The Ascension” siano state concepite durante il primo lockdown, con l’artista del Michigan costretto a usare quello che aveva in casa, ovvero un laptop e un synth Prophet. Ciò spiega la natura sintetica della musica che si sviluppa attraverso le nuove quindici canzoni la cui iniziale estemporaneità è stata levigata dalla produzione di James McAlister e Casey Foubert i quali compaiono nei credits anche come musicisti. La musica di “The Ascension” vive di sospensioni intime che si caricano di una valenza critica verso una società sempre più mercantilista; ecco perché in una certa misura la scrittura dell’album è strutturalmente fragile, non in senso negativo, piuttosto come cifra ontologica di una falsa leggerezza, soprattutto quando prevale un mood elettro-pop con il suo drumming cheap a dettare il tempo come su una dancefloor desolata. L’opener Make Me An Offer I Cannot Refuse rilascia spore alla Thom Yorke, con un proprio timing fatto di lentezza e tristezza colorata come la maschera di un carnevale andato a male; Run Away With Me è accorato e minimale come i The Go Find in “Stars On The Wall”, mentre Video Game ha un groove conturbante in cui Sufjan rivendica una vita da non protagonista cantando sommessamente «I Don’t Wanna Be Your Personal Jesus». Tell Me You Love Me colpisce per la costruzione del climax che porta ad una magniloquenza che sa di liberazione. In Ativan si avverte una latente ispirazione che risale al Peter Gabriel di “Up”, così come nella successiva Ursa Major in cui vi è una livrea di world music postmoderna. Da segnalare il dualismo conclusivo della omonima The Ascension (uno dei brani più vicini armonicamente al Sufjan Stevens canonico) con il suo nucleo di purezza ai limiti di un sussurro che diventa preghiera fatta solo di voce e tastiere e la lunga suite America, singolo che ha anticipato l’uscita dell’album e che forse si avvita troppo su se stessa. “The Ascension” non è un album perfetto, ma va bene così anche perché non vuole esserlo. Basti sapere che c’è ancora chi, oltre al clamore, riesce a scrivere canzoni che parlano delle proprie paure, senza voler dimostrare quello che non si è. Disco da ascoltare e riascoltare con attenzione.

Voto: 7.5/10
Giuseppe Rapisarda

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