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26 Ottobre 2019 , ,

Neil Young & Crazy Horse Colorado

2019 - Reprise Records
[Uscita: 25/10/2019]

Sono stati spesi i proverbiali fiumi di inchiostro per narrare le gesta eroiche dell’intramontabile Neil Young, 74 anni a novembre, al punto che diventa difficile se non impossibile scrivere o parlare di lui senza scendere nella retorica. Un percorso musicale lunghissimo, se pensiamo che il singolo degli Squires, The Sultan/Aurora, la sua prima apparizione discografica, risale al lontanissimo 1963, quando il grande canadese aveva appena 17 anni. Sarebbe tempo perso fare per l’ennesima volta l’elenco dei grandi capolavori disseminati sul cammino, vi basti sapere che soltanto nei seventies ha fatto un percorso praticamente perfetto o quasi, al pari o superiore a leggende come Bob Dylan e Van Morrison. Il solo David Bowie nello stesso periodo ha tenuto lo stesso incredibile ritmo creativo, rinnovandosi ogni volta e cercando sempre nuove strade da percorrere. Pure Neil Young negli anni ha provato qualche soluzione più ardita, magari con risultati alterni e non sempre ottimali, ma tutto sommato non è che ha deviato poi di tanto la sua linea guida, specie quando è accompagnato dai fedeli Crazy Horse. E’ quello che succede, ma non poteva essere diversamente, anche in quest’ultimo “Colorado”, un album che aveva come titolo programmato “Pink Moon”, poi saggiamente messo da parte dietro le pressanti richieste dei tanti frequentatori dei suoi storici Archives per evitare un ingiusto ed assurdo confronto con il leggendario epitaffio di Nick Drake. E’ l’ennesimo album in studio, forse il trentanovesimo, ma potrebbe essere il centesimo, visto che è diventato praticamente impossibile tenere il conto. Sì, perché se noi tifiamo per il canadese un motivo c’è, in questa alternanza di pubblicazioni a ritmi folli, da fare invidia a Ty Segall, Guided By Voices e King Gizzard, & The Lizard Wizard, sono presenti le riscoperte di favolosi concerti rimasti inediti, quantomeno ufficialmente, e album veri e propri d’inediti risalenti ai tempi d’oro, anzi della corsa all’oro, per citare una sua opera maestra. Stiamo parlando di quattro dischi favolosi come “Hitchhiker”, “Roxy: Tonight’s The Night Live”, “Songs For Judy” e “Tuscaloosa”, tutti usciti negli ultimi 2 anni con registrazioni però risalenti agli anni settanta, che hanno ricordato al mondo che il canadese ha pochi eguali sul pianeta terra, sua maestà Bob Dylan escluso ovviamente. Il nuovo disco viene eclissato da queste gloriose registrazioni e ci riporta al Neil Young attuale, quello over 70, con la spia della riserva già accesa da molto tempo che ha messo in circolazione album registrati in fretta, preso non si sa da quale frenesia. Se chiedete ai tanti followers del canadese, questi troveranno difficoltà ad indicarvi un album del nuovo millennio che sia, non diciamo decente, ma anche lontanamente al livello delle sue cose migliori, prove evidenti sono dischi mediocri come “Are You Passionate”(2002) o il pessimo “Peace Trail”(2016), dischi che oscurano un personaggio che è ormai leggenda, perdonateci il termine super abusato. Quando Neil Young è accompagnato dai soliti Crazy Horse c’è da dire che le cose non vanno mai o quasi in modo negativo, come se le ultime stille di sudore e briciole di creatività venissero convogliate in quella sicura direzione. “Colorado” dura ben 50 minuti, oltre 13 occupati dalla solita long track, She Showed Me, forse la più monotona e inutile mai incisa dal canadese, con quel refrain ripetuto all’infinito che inficia la qualità del disco, già di suo non proprio eccelsa. L’opener Think Of Me è una delle cento canzoni già ascoltate di Young, a seguire 4-5 pezzi da dimenticare che sfiancano anche l’ascoltatore più paziente ormai prossimo a mettere in pausa il disco. Ma il canadese, si sa, è una cavallo pazzo duro a morire e riesce a rialzarsi in piedi per la seconda parte del disco, la vecchia seconda facciata dei vinili, in questo caso la Side 3, dove troviamo un poker di songs davvero niente male. I sei minuti di Milky Way, decisamente il vertice dell’album, la voce sembra davvero quella di “After The Gold Rush” o “Zuma”, magari i giri delle sei corde sono sempre gli stessi ma poco importa, un raggio di luce in fondo al tunnel. Il piano di Nils Lofgren in Eternity, quasi una outtake dei seventies, la corale e solare Rainbow Of Colours ed il finale in punta di piedi di I Do che ci rallegrano il cuore e ci spiegano che a 73 anni si può ancora comporre bella musica. Per ottenere questo suono molto anni settanta la band ha usato una vecchia console che risale ai tempi di “Harvest” combinata con la moderna tecnica digitale. Una delle cose che ci fanno amare quest’uomo. Si dice che Neil Young dia il meglio di sé nelle situazione estreme, è successo spesso in passato e pure in questo 2019 che ha visto la morte della ex moglie Pegi in gennaio e del suo manager Elliot Roberts in giugno, due lutti a breve distanza che hanno scosso non poco l’animo del canadese che riesce sempre a reagire con la cosa che gli riesce meglio, indovinate quale? E non pensate che il nostro uomo voglia abbandonare i palchi di mezzo mondo, nel 2020 lo vedremo certamente on stage con il cavallo pazzo, come già annunciato sulla sua pagina web ufficiale.

Voto: 6.5/10
Ricardo Martillos

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