Meat Beat Manifesto R.U.O.K.?
Perché parlare di Meat Beat Manifesto e incominciare proprio da qui? Forse perché con questo album l’inglese Jack Dangers (all’anagrafe John Stephen Corrigan) ha anticipato tutta una serie di intuizioni per la musica a battuta lenta degli anni 2000 e forse perché rappresenta l’album della maturità di questo progetto, fondato nel 1986 insieme a Jonny Stephens (che abbandonò la band nel 1996) e Paul Freegard (noto per la sua collaborazione con i Depeche Mode in “Exciter”). L’album in questione è il settimo della band ed è l’anello di congiunzione tra l’industrial hip-hop dei suoi primi dieci anni di vita artistica e il sound breakbeat downtempo, dub e illbient degli ultimi tre dischi pubblicati nel decennio 2000-2010. La traccia Dynamite Fresh (industrial breakbeat contaminata da dub e suoni elettronici distanti) è sia la traccia rappresentativa di quanto detto che il biglietto da visita dei rinnovati Meat Beat Manifesto. Uscito per la Quatermass, sublabel dell’etichetta sperimentale belga Sub Rosa, nata nel 1999 per coprire il lato elettronico più “groovy” del proprio catalogo, i Meat Beat Manifesto compaiono di diritto in questo catalogo meraviglioso al fianco di nomi del calibro di Bill Laswell, 2nd Gen, King Rhythm, TG Mauss, Andrea Parker, Freeform, David Shea, Tone Rec, Elixir, Fibla, Benge, Calla, Lisa Carbon, DJ Wally, Pan American, Quoit e tanti altri nomi importanti della scena elettronica downtempo, dance e white dub più raffinata degli ultimi quindici anni.
Dodici tracce spettacolari, notturne, assolutamente groovy, adatte sia ai dancefloor più evoluti e alieni del pianeta che ad onirici ascolti casalinghi. Caratteristica fondamentale di questo album, realizzato dal solo Dangers con la complicità del drummer Lynn Farmer (in due tracce), è l’utilizzo massiccio del mega sintetizzatore analogico modulare EMS Synthi 100, un synth degli anni ’70 grande quanto una parete di una stanza: ascoltate i trip elettronici No Echo In Space e Retrograde, pura libidine per gli amanti del suono “real analogue”. Le ritmiche del disco son tutte “groovy”, tra downtempo, big beat, trip-hop (di cui sono precursori) ed electrofunk (di cui sono anche pionieri) e, a differenza di altri lavori del combo britannico, questo disco non ha tracce cantate, ma contiene solo samples vocali tratti dalle fonti più disparate. L’album, della durata di poco più di un’ora, è tutt’altro che pesante o ostico, anche un non addetto ai lavori può godere delle grandi atmosfere e dei grandi ritmi di Dangers, che qui si avvale anche del turntablism di Z-Trip (alias Zach Sciacca) in due delle tracce più dance dell’album Hankerchief Head e What Does It All Mean? (unico singolo estratto dall’album), e del fuoriclasse Alex Paterson (The Orb) nella spettacolare Horn Of Jericho, una delle migliori tracce del disco, in cui lo stile di Dangers si sposa alla perfezione con i suoni “space ambient” di Paterson/Orb e con le batterie “reali” di Lynn Farmer.
Il dub-hop di Supersoul si arricchisce con la batteria e le percussioni di Farmer, live drummer dei Meat Beat Manifesto dal 1997 ad oggi, per diventare uno degli episodi più convincenti e coinvolgenti dell’album, con un forte uso del Synthi 100 a colorare un brano di per sè già variegato. L’opener del disco Yuri è una traccia di minimal electronica con influenze lounge, in cui il Synthi 100 fa da padrone, mentre la chiusura Happiness Supreme è un breve esperimento glitch di due minuti e mezzo. Una band che nel giro di sedici anni si è saputa evolvere dagli esordi industrial hip-hop ed electronic body music ad un sound così variegato e sfaccettato che ha letteralmente spiazzato tutti ed è riuscito a conquistare tantissimo pubblico nei vari periodi (indipendenti o major) della sua vita artistica. Un disco che ha fatto la storia del downtempo del decennio scorso. Consigliatissimo.