Nubya Garcia Source
Con colpevole ritardo recensiamo quello che per chi scrive è uno dei dischi più belli, se non il più bello, dello sfortunato anno appena trascorso: “Source” è il debutto sulla lunga durata, dopo l'EP “Nubya's Five” del 2017 della straordinaria sassofonista Nubya Garcia, uno dei molti talenti della scena detta di South London, fulcro creativo del jazz contemporaneo, con artisti magnifici come Shabaka Hutchings, Theon Cross, Cassie Kinoshi e molti altri. Nubya con la sua musica rende omaggio alle proprie radici afroamericane, caraibiche soprattutto, così come ai grandi del jazz, Coltrane ovviamente è il nume tutelare, ma le rinfresca con la contemporaneità. L'apertura è con Pace, bellissimo brano in cui il fraseggio del sax, con quell'anelito alla spiritualità che era dei maestri degli anni '60, si alterna col liquido piano di Joe Armon-Jones. Più movimentata la successiva The Message Continues, con Armon-Jones al piano Wurlitzer, e il brillante drumming di Sam Jones molto giocato su piatti e rullante al servizio degli ispirati solo di Nubya. I puristi del jazz forse si scandalizzeranno quando parte la title-track, con l'inconfondibile ritmo in levare del reggae: il sax è doppiato da un coro femminile (la sassofonista Cassie Kinoshi, leader dei gruppi Kokoroko e Nejira, qui partecipa come cantante), ma i leggiadri solo del sax e le cascate di arpeggi pianistici riportano in soavi territori jazzistici. Coro e ritmo in levare tornano in Stand With Each Other, dalla ossessiva melodia africana. Altra contaminazione in La Cumbia Me Està Llamando, tradizionale colombiano con le voci e le percussioni del trio La Perla. I brani più entusiasmanti però, per quanto siano riuscite le fusioni con le atmosfere caraibiche, sono quelli in cui Nubya Garcia e i suoi collaboratori mescolano i lasciti del grande jazz, dall'hard bop alle sue propaggini più intrise di spiritualità. Ballads come Together Is A Beautiful Place To Be, o la swingante Before Us, entrambe con Sheila Maurice-Grey alla tromba, emozionano anche l'ascoltatore più disilluso. Chiude il disco una breve canzone, Boundless Being, affidata alla voce di Akenya, cantante e pianista di Chicago. Un disco assolutamente riuscito, in cui le complesse poliritmie, che fondono mirabilmente USA, Africa e Caraibi, non prevaricano mai l'afflato melodico, sempre ispirato. Una boccata di ossigeno per questi tempi cupi.
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