Roy Hargrove Il jazz impetuoso, oltre i confini della savana.
1969 - 2018
Roy Hargrove è stato forse il trombettista più creativo e prolifico tra quella schiera di “Young Lions” che ha solcato i territori del jazz tra gli anni ’80 e il XXI° secolo: la sua scomparsa, venerdì 2 novembre 2018 a New York per un attacco cardiaco, ci lascia in eredità una vasta gamma di esperienze multiformi, tutte dentro e attorno alla musica nera. Nato a Waco (Texas) nel 1969, Roy Anthony Hargrove manifesta precoci attitudini musicali: a nove anni suona una vecchia cornetta, studia al Dallas Arts Magnet (dove incontra Erykah Badu e Norah Jones); ascolta Clifford Brown prima di scoprire Fats Navarro, Lee Morgan e Freddie Hubbard, i suoi ispiratori con Dizzy Gillespie, nella tecnica e nel fraseggio.
Nella primavera 1987, Wynton Marsalis ne apprezza subito il talento, proponendogli alcuni arrangiamenti; conosce Larry Clothier, che diventa il suo unico manager per tutta la carriera. Primi ingaggi a New York, tour in Europa e Giappone, dove, alternando la tromba al flicorno, suona con artisti del calibro di Clifford Jordan, Jerome Richardson, Tete Montoliu. Nel 1988 Roy entra alla Berklee School of Music, inizia a incidere come sideman, con Bobby Watson, Ricky Ford, Carl Allen e con il gruppo Superblue di Don Sickler; la rivista Down Beat lo elegge miglior solista dell’anno. Entra a far parte della jazz community di New York e frequenta la sezione jazz alla New School Contemporary Music (1989-90): da allora è protagonista di una lunga serie di prestigiose collaborazioni (Bobby Watson, Jackie McLean, Frank Morgan, Steve Coleman, Johnny Griffin, Jimmy Smith, Oscar Peterson, Sonny Rollins).
In qualità di leader, Hargrove dal 1990 incide una variegata sequenza di album per la Novus/Rca, affiancato dai migliori esponenti dell’epoca, autentici Young Lions quali Antonio Hart, Joshua Redman (sax), Stephen Scott (piano), Chris McBride (bass). Passato alla Verve (1994-2006), registra con i migliori tenori dell’epoca in progetti ambiziosi (con Johnny Griffin, Stanley Turrentine, Joe Henderson, Joshua Redman, Branford Marsalis), o volgendo lo sguardo ai suoni caraibici con il gruppo Crisol (“Habana”, Verve, Grammy Latin Jazz 1997). Nel 2000, vince il secondo Grammy per il jazz strumentale con “Directions in Music: Live at Massey Hall” (Verve, foto sotto a destra), co-leader di artisti quali Herbie Hancock e Michael Brecker.
Da quello stesso anno e sino alla sua scomparsa, Roy volge lo sguardo ad altri stilemi della musica nera, senza mai abbandonare la tradizione swing e l’hard bop: dal progetto neo-fusion RH Factor ai lavori con il singer e multistrumentista D’Angelo [Michael Eugene Archer] “Voodoo” (Virgin, 2000) e “Black Messiah” (Rca, 2014), alle collaborazioni con Marcus Miller, Erykah Badu, Angelique Kidjo, Johnny O’Neill, i rapper Common e Q-Tip, dove si fondono jazz, gospel, soul, funk, R&B e hip-hop.
Le sue ultime stagioni lo vedono, infaticabile lottatore contro la malattia, alla testa di un quintetto stabile, con il sassofonista Justin Robinson, il pianista Sullivan Fortner, il bassista Ameen Saleem e il batterista Quincy Phillips: la sua composizione Strasbourg-St. Denis, di matrice soul bop, è diventata l’ideale colonna sonora del gruppo. Quale eredità ci consegna Roy Hargrove? Certamente un artista-leader che ha espresso un temperamento impetuoso, in grado di esprimere una forte energia comunicativa, aperta alle sollecitazioni del mondo, per meglio solcare con il jazz, e non solo, i confini di una savana sconfinata.
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