Giorgio Calabrese Arrivederci a un paroliere, e molto altro
1929 - 2016
C'è un titolo in questo saluto, un titolo tra i tanti belli che portano la sua firma e che sono la spina dorsale della vecchia canzone leggera italiana. Vecchia in senso affettuoso, va da sè. Ve ne sono altri, oltre ad Arrivederci, in cui lui ha messo le mani da solo o in compagnia, che letti uno dopo l'altro mettono i brividi: E se domani, Domani è un altro giorno, La pioggia di marzo, L’istrione. E altri ancora.
"Arrivederci, dammi la mano e sorridi, senza piangere" canto nella mia testa e penso non solo a Umberto Bindi che ha scritto con lui e che ha dato voce a una canzone meravigliosa, ma a tanta musica che scorre via. Scorre come il tempo, inesorabile. Penso a quando Morgan, in anni lontani in cui mi è capitato di girare con lui per le radio a promuovere l'attività dei Bluvertigo, suonava Arrivederci (e anche Non arrossire di Giorgio Gaber) su ogni pianola che trovasse sotto mano. E lo faceva molto tempo prima di incidere diversi classici italiani nei suoi due album "Songbook". In auto con i finestrini abbassati parlavamo di David Bowie e cantavamo le sue canzoni; poi davanti al microfono per parlare di sè, Morgan non dimenticava mai di dire quanto grande fosse l'eredità lasciata da certi uomini speciali che hanno fatto la nostra musica leggera. Conoscere Bowie e apprezzare e diffondere Gaber e Bindi è un bel modo per spiegare quanto siano importanti le canzoni, con il loro singolo valore, per chi segue la musica col cuore senza curarsi troppo degli steccati. Ci si ficcano nella testa e nell'anima le canzoni, e non ci lasciano più.
Avevo conosciuto Giorgio Calabrese durante una Domenica In di un milione di anni fa. Lui era tra gli autori, insieme a quell'altro grande maestro che è Ugo Gregoretti. Io imparavo qualcosa. Da allora l'ho incontrato molte volte in quello che gli americani chiamerebbero TV District, ovvero le vie della televisione, tutte raccolte in un quadrilatero, a Roma, tra Viale Carso, Via Oslavia, Viale Mazzini e Via Pasubio. Lo si poteva vedere spesso al ristorante Delle Vittorie, due sale che hanno da un bel po' lasciato la loro storia a un locale più alla moda ma privo di fascino. Aveva scritto per Mina, Luigi Tenco e Charles Aznavour ma aveva una parola e un sorriso per tutti. Sempre. Era di una semplicità e di una bellezza d'animo disarmanti. Un giorno, mentre stavo completando un libro scritto con Sergio Bardotti che prendeva in prestito un titolo di Sergio Endrigo (e Bardotti), "Canzone per te", ebbi la necessità di disturbarlo. Accadeva almeno dieci anni, se non di più, dopo quella volta che avevamo lavorato insieme.
Mi ripresentai, gli dissi che la scomparsa di Sergio stava rendendo un po' complicata la chiusura del libro e che avevo qualcosa da chiedergli. Poche informazioni su alcuni racconti che Bardotti mi aveva fatto e che erano rimasti incompleti. "Vediamoci al Delle Vittorie", mi disse, senza nemmeno lasciarmi finire. Non avevo sonno questa notte (31 Marzo 2016), qualcosa mi agitava. Mi sono alzato per bere. Ho fatto per spegnere il computer che era rimasto acceso e ho aperto Facebook, per un'occhiata. Vi ho trovato un post di Leonardo de Amicis, uomo di musica, su Calabrese, meglio, sulla morte di Calabrese. Con un ricordo che mi ha strizzato il cuore e mi ha fatto subito sorridere: quando ci incontravamo al Delle Vittorie dicevo “…Buongiorno Maestro”, mi rispondeva ironico “…Maestro ci sarà lei”. Eccomi qui, in silenzio, a piangere un'altra bella persona, un altro patrimonio della musica che ci lascia, in questo 2016 che davvero si vorrebbe riavviare da zero per cambiargli alcune virgole. Giorgio Calabrese non stava bene da tempo e viaggiava verso i Novant'anni, spesi facendo del bene. Grazie per le belle canzoni, grazie per quei dieci minuti che mi sono stati utili, grazie per avermi insegnato senza saperlo l'importanza delle virgole e dei silenzi.
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