Nick The Freak TUNES
Al momento in cui scriviamo questa recensione, non ci risulta che esista all’attivo un album di Nick the Freak (al secolo Nicola Quarto); questo artista barese così eclettico (anzi: questo “fuoriuscito musicale”, come si autodefinisce), dal passato e presente artistici intensi (Modaxì, Bari Upbeat Movement, Good Ole Boys), ha scelto (come molti altri) la via dell’autoproduzione e della diffusione cosiddetta “liquida” per la sua musica, intendendo per “liquido” il veicolare le sue pubblicazioni attraverso il web e senza ancorarle a un supporto fisico. Lo spunto per questa recensione è dato dal suo ultimo singolo, intitolato Non voglio crescere mai e postato a partire da questa estate. Siamo di fronte a uno ska divertentissimo, trascinante, ma “rilassato”, non frenetico secondo la moda cavalcata dalle bands che hanno scelto di fondere ska e punk. Qui troviamo le atmosfere degli Specials mescolate a un andamento “balneare” che ci fa pensare a una bella Italia anni ’60, quella dei film musicarelli, di Edoardo Vianello e del primissimo Celentano.
Il testo, però, dietro un’apparenza frivola, è tutt’altro che stupido: il protagonista della canzone dichiara di non voler crescere in realtà per ribellarsi a questa società fatta di polemiche politiche, di assessori rampanti, di banche, di finanziamenti e di intrallazzi. Esplorando sul suo profilo Soundcloud il materiale pubblicato un po’ più indietro, nell’arco degli ultimi due o tre anni, troviamo Non voglio lavorare più (ok, abbiam capito che il nostro Nick the Freak è un “teorico della spensieratezza”), dove invece esplora sonorità più beat/psichedeliche, quelle dei Beatles, dei Byrds, dei Pink Floyd di See Emily Play… Le sonorità si induriscono un po’, fanno pensare a certo cantautorato anni ’80 di Ivan Graziani, con Fabio, qualche volta devi dire di no. In ogni caso, “spulciando” su e giù il Soundcloud di Nick the Freak, c’è l’imbarazzo della scelta: i brani sono tanti, la cifra stilistica è sempre quella di un cantautorato ironico, solo apparentemente demenziale ma supportato da solidi contenuti, accompagnato da sonorità volontariamente vintage, di volta in volta, permeate di beat, reggae, ska, quasi punk. Merita ben più di un ascolto.
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