I Nastri I NASTRI
14 canzoni nelle quali troviamo davvero di tutto un po’. La prima, Nero, con quelle chitarrine pulite che vanno avanti sempre dritte nelle loro ritmiche, quella melodia un po’ sbarazzina e quel sovrabbondare di archi, fa un po’ troppo Lunapop degli esordi, ma dopo questa falsa partenza (che comunque avrebbe tutte le potenzialità e l’energia di un potenziale singolo), la situazione si risolleva con l’energica Love Love Love: cori che fanno tanto West Coast, ricami melodici tra beat italiano anni ’60 e psychedelia, un po’ di Byrds e un po’ di Beach Boys, sintetizzatori persino un po’ prog-rock e un Hammond alla Stevie Winwood, gran pezzo, eclettico e cangiante, dove in 3’ 15” succede di tutto. Sorprendente cambio di registro con la successiva Umano: pianoforte scintillante degno della E-Street Band e ritmiche degne della Motown per questa canzone azzeccata tra beat e soul, con un ritornello “catchy” da matti, finto-allegro ma con qualcosa di struggente tra le righe. Il pop italiano di miglior fattura, con un sapore meno “vintage” e più attuale, affiora in Niente è importante, altro brano “cullato” da una cadenza melanconica, dal bel finale in crescendo. E rifacciamo un balzo indietro, nel pieno della psychedelia anni ’60, quando le band inglesi andavano in massa a fare il bagno nel Gange: queste le atmosfere che si respirano in Come me. La lezione del George Harrison più mistico qui è forte. Come nei film è tutto un tintinnio di piccole percussioni intonate ben sorrette da orchestrazioni robuste: qui nelle parti strumentali la ricerca del sovrarrangiamento è quella dei Mercury Rev, ma è il cantato che stavolta non è all’altezza della base strumentale, così ammiccante al gusto italo-radiofonico attuale. Peccato.
Che vuoi che sia è il brano con le chitarre più rock e un ottimo supporto tastieristico giocato soprattutto tra piano e Hammond, ma lo spettro di Cesare Cremonini, che purtroppo aleggia in molte tracce del disco, riaffiora in modo fastidioso. Le sonorità new-prog di Il Crollo, un po’ spigolose nelle ritmiche e nei tappeti, fanno pensare nuovamente ai Mercury Rev, con un fantastico inserto beatlesiano che ne fa uno dei titoli migliori del disco. In Non ci ho messo tanto troviamo un inaspettato basso distorto, che ben fa da eco a piccoli “scoppiettii” tastieristici e a una voce all’inizio gustosamente filtrata. Forse, al contrario della traccia precedente, non uno dei momenti migliori, ma di certo uno dei più sperimentali, con i suoi chiaroscuri quasi lounge e trip-hop. Sette, da questo punto di vista, ricalca in parte le stesse coordinate. Corri se mi senti su un ostinato pianistico ci ripropone l’abbinamento tra sintetizzatori molto seventies, tra funk, jazz-rock e prog, e ritmiche trip-hop. Nelle favole ricalca quello schema tra arrangiamenti solenni (con uno splendido Mellotron in primo piano) à la Mercury Rev e melodie vocali di gusto tanto (troppo?) italiano. Non sento più è di nuovo profumata di beat italiano anni ’60, tra tastiere vintage, chitarre acustiche e vivaci percussioni intonate che fanno tanto Little Wing. Chiudiamo con Un colpo al cuore, tra Moorcheeba e Garbage, eccezione fatta per il cantato maschile e in italiano. Alla fine un disco suonato in modo ineccepibile e con una produzione sonora a dir poco eccelsa, a cui manca solo quel pizzico di coraggio in più per diventare memorabile.
Siccome son stato accusato più volte di spender tempo solo a dedicarmi a criticare chi aimè spesso gestisce con poca cura e competenza il settore recensioni & co, ci tenevo a complimentarmi con la testata e in particolar modo con il recensore: QUESTA è una recensione, curata dettagliata, che presenta a chi non ha avuto modo di ascoltare un disco i brani con riferimenti precisi che denotano grande competenza, e che possono senz’altro destare l’interesse di un lettore nei confronti del prodotto discografico in questione!
Grande coerenza in tutto ciò che ho letto, clap clap clap…
Dovendo cercare un capello, siccome non è la prima volta che leggo quella può essere una critica, senz’altro costruttiva e che senz’altro può risultare una constatazione più o meno soggettiva, mi permetto di porre una riflessione sul discorso “cremonini/lunapop”: Il buon Cesare non si è mai nascosto dal declamare la sua sfrenata passione per i grandi maestri del panorama Inglese, vedi i Queen e spesso Beatles (per citare gli stra-noti) . . . forse il fatto che il nostro esempio più contemporaneo e conterraneo della musica Brit trasdotta e adattata (MOLTO) al mercato commerciale-Italiano, volenti o nolenti, rischia di essere proprio lui, che comprensibilmente non apprezzato da molti (non sono certo neanch’io un suo grande estimatore ma tant’è) forse rischia di diventare il capro-espiatorio, o meglio il capro-comparatorio, di quando ci capita di ascoltare un qualcosa dalle radici fortemente inglesi e pop, con una lirica Italiana…
Insomma mi chiedo: se non ci fosse stato il/un Cremonini a prendere il buono del lato pop dei grandi artisti inglesi, e a plasmarlo in quello che è senz’altro un prodottino slavato e fortemente filtrato dalle sue capacità unite al mirabolante intervento dal mercato commerciale italico (che si certo non eccelle per buon gusto e ricercatezza, volgendo tutto ad un “sole cuore amore per le ragazzine”), sentendo alcuni escursus di artisti come I Nastri – ma non solo – ci troveremmo a pensare “aaaah assomigliano a Cremonini” (che non ci piace), oppure invece penseremmo “aaaah, assomigliano ai queen, beatles ecc ecc ecc con liriche Italiano” (che presumibilmente sarebbe un complimento!) . . . insomma :D solo una riflessione che mi ronza in testa da un po’!
Complimenti a tutti :D alla band e a chi ne parla!
Caro Lars,
in primis grazie di cuore per le belle parole di approvazione. Io non mi definirei mai un “critico musicale”, espressione già di per sè un po’ troppo solenne, mi ritengo un musicofilo che ama raccontare la musica ai propri amici e che lo fa con amore. Quando questa mia passione traspare e arriva fino al Lettore, come in questo caso, ne sono lusingato.
Ciò detto, il discorso-Cremonini è complesso e interessante e sarebbe lungo da affrontare. Premesso che io (pur non essendo un suo fan) non ho assolutamente nulla contro Cremonini, artista che negli anni ha dimostrato una forte maturazione artistica e intellettuale: i Lunapop erano giustamente, un gruppo fatto da ragazzini per un pubblico di ragazzini ed era giusto che fossero così totalmente disimpegnati, lui da solo ha fatto ben altre cose. I Nastri in effetti, come tu, Lars, hai peraltro colto nelle mie parole, non è che “assomiglino” al Cremonini, hanno in comune con lui più che altro una sorta di “mood”, dato dalla traslitterazione della lingua del cantato: evidenti riferimenti stilistici e d’arrangiamento molto “anglofoni” ma con melodie cantate molto italiane, non solo nel testo ma nel gusto. Che cosa avrei detto se non ci fosse stato un Cremonini prima di loro? Probabilmente che sono un’ottima band, con grandi potenzialità ma con quel cantato e quelle melodie che impongono loro quel tocco di “provincialismo” che potrebbe impedire un meritato volo verso il successo internazionale…
A presto Lars e… a rileggerci su queste pagine virtuali!
Alberto Sgarlato