Majakovich ELEFANTE
Terzo disco per il trio umbro che si era fatto notare nel 2014 anche per il curioso titolo dato al loro secondo disco: ”Il Primo Disco Era Meglio”. Ora, ci informano le note stampa che “Elefante” «è un viaggio lungo sette mesi. Un disco epistolare scritto a tre mani tra il Veneto, l’Umbria e l’ Africa. Passando da New York ad Istanbul», cosa voglia dire e dove questo si riscontri fra i solchi del disco, chi scrive non è francamente in grado di dirlo, musicalmente di africano non c'è nulla e men che meno le note sembrano influenzato dall'Anatolia Rock. Forse è la pulsante frenesia della metropoli newyorchese ad aver lasciato tracce in un disco che concede poche pause, tutto puntato su un rock adrenalina e urlato, fatto di grifoni di chitarre sbattuti in faccia e negli orecchi. Il risultato è un disco che nel migliore dei casi può far pensare a Il Teatro degli Orrori e nel peggiore ai Fast Animala ad Slow AIDS. Convince la prima traccia, con quel suo incedere pesante e marziale, la voce che non prevarica su tutto, come invece avviene sovente nel resto dell'album, e il dilatarsi finale in un'atmosfera solenne e profonda, grazie anche al sapiente uso degli archi. Un buon inizio che purtroppo viene smentito dalla successiva Aprile, che l'interessante testo non riesce a salvare, e da Diecimila Ore i cui riff andranno bene per far pagare giovani studenti fuori corso, giustamente incazzati, ma poco adatti a un ascolto più attento. E questa è una sensazione che si ripresenta più volte durante l'ascolto e non è lenita dal buon livello della produzione e del missaggio, peccato perché non solo la title track, ma anche la conclusiva Maledetto Me riesce a catturare l'ansia e l'inquietudine generazionale con un rock efficace e di immediata presa. La copertina senza il nome della band e il titolo del disco non aiutano certo a renderlo riconoscibile fra le tantissime altre uscite indie.
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