Swans 25 Giugno 2013, Zanne Festival, Parco Gioeni, Catania
“Chi volesse dar vita ai simboli d’una città moderna, dalle lamiere contorte alle superfici bucherellate, udrebbe appunto la risata satanica e sciocca sulla bellezza eliminata”.
Elémire Zolla
Di riti sciamanici travisati da concerti, allegorie di discese agli inferi senza speranza di redenzione, non è facile riscontrarne nell’attuale panorama musicale planetario. Cantori di un’umanità martirizzata e dolente, massa damnationis di pura ascendenza agostiniana, gli Swans del mistagogo Michael Gira ne sono rara e forse ultima incarnazione. Un live-set degli Swans è l’esperienza di un tentativo fallimentare di catarsi. E’ pura catabasi, infiammata protesta contro ogni idea di salvazione. Come quello andato in scena a Catania, nell’ambito del meritorio Zanne Festival, che ha visto la formazione di Gira distruggere ogni concetto di armonia musicale, in ragione di un efferato superamento di tutti gli schemi melodici. Affiancato dall’eterno Norman Westberg alla chitarra, dall’ineffabile Chris Pravdica al basso, da “Thor” Harris alle percussioni e a svariati strumenti, da Phil Puleo alla batteria, dal fido Christoph Hahn alla lap-guitar, Gira ha intonato la nenia della perdita di identità e della dissoluzione entro nubi sulfuree di ogni particola della personalità umana. Sin dall’inizio, con Herself il martellamento e lo schiacciamento sonoro inducono già l’uditorio in uno stato di trance. E a seguire frammenti, quasi tutti estrapolati dall’ultimo, mirifico ma terribile, album “The Seer”, dilatati sino all’inverosimile, con Gira, tornato dal regno dei morti per raccontarci tutto, a dominare la scena: movimenti ai limiti dell’epilessia, violenza inaudita nel percuotere la chitarra come con colpi di maglio, voce satanica e proveniente come da arcane profondità. Mother Of The World, Apostate, The Seer, diluita nel curaro della fine del tempo, tracce di umanità allo stadio finale offerte in olocausto al Niente. Il martello tonante di “Thor” Harris che sembra voler annichilire i padiglioni auricolari; il basso pulsante di Pravdica; la chitarra tagliente e velenosa di Westberg; i suoni avernali ammanniti dallo stregone Hahn; la batteria compulsiva di Puleo, creano un clima da incubo lovecraftiano ebbro di esalazioni acherontiche. Brani di venti, trenta, cinquanta minuti, a segnare l’avvento di un’apocalisse del suono trionfante sugli ultimi residui fiammeggianti e dolenti della bellezza umana umiliata. Nell’annientamento totale, negli stagni infuocati della memoria, restano solo, maestosi e ferali, i “Cigni”.
Commenti →