Mudhoney (Usa) + Treatment (Australia) 31 maggio 2013, Viper, Firenze
I Mudhoney sono con i Pearl Jam uno dei grandi gruppi sopravvissuti dell'ondata grunge che negli anni novanta scosse la sonnolenta scena musicale americana. In realtà i suoi due leaders Mark Arm e Steve Turner avevano giocato d'anticipo sulla successiva onda lunga, iniziando 29 anni fa nel 1984 con i Green River, e non a caso quando si parla di loro non sempre la definizione grunge appare calzante al 100%. Quella di venerdì notte a Firenze era purtroppo l'unica data italiana del loro tour 2013, perlomeno di quelle programmate fino ad adesso. C'erano molti dubbi e perplessità legate all'ascolto dell'ennesimo disco debole della loro carriera, l'ultimo "Vanishing point", a continuazione di una serie di album non certo irresistibili. Il fatto che suonassero dopo tanto tempo in Italia e solo una notte ha fatto sì che i dubbi riguardo ad una set list impostata sulle ultime cose svanissero come neve al sole. Il concerto si è svolto al Viper, uno dei migliori rock club del capoluogo toscano che ha fatto l'altra notte la lodevole scelta di iniziare finalmente ad un orario decente. Alle 21.30 spaccate hanno aperto i bravissimi australiani Treatment con 40 minuti d'infuocato live act di impostazione Stooges con venature garage.
Davvero grintose e riuscite al proposito le covers tiratissime di Satisfaction Guaranteed (Mourning Reign) e No friend of mine (The Sparkles). Mezz'ora di pausa e gli attesissimi Mudhoney facevano la comparsa sul palco del Viper. Locale che essendo ricavato da una piscina permette un’ ottima visuale a tutti gli spettatori con un’ acustica davvero niente male. Ed è stata una vera emozione per noi rivedere questo gruppo a distanza di addirittura 22 anni, quando a novembre 1991 (in piena esplosione grunge) al Kryptonite di Baricella (Bologna) dettero vita ad una pazzesca esibizione in un locale colmo fino all'inverosimile. Molta la gente presente anche a Firenze, ovviamente da tutt'Italia ma il locale non era certamente esaurito in virtù anche della concomitanza dello show di Joe Satriani programmato purtroppo lo stesso giorno a pochi km di distanza. Solita formazione a quattro per la band di Seattle, con il bassista Guy Maddison a fare compagnia ai tre storici membri, il batterista Dan Peters, ed i due chitarristi, Steve Turner e Mark Arm. Un Mark Arm in grandissima forma considerato che ha superato i 50 anni ed ha passato una vita sempre sul filo del rasoio con l'eroina quale compagna di viaggio preferita.
Jeans grigi, maglietta nera, sneakers ai piedi, magrissimo e con tanta grinta da vendere. L'inizio del concerto è in sordina, con Slipping away e I like it small, i due pezzi che aprono l'ultimo "Vanishing Point” ma niente paura l'uragano Mudhoney si scatenerà da lì a poco. Si parte con la fiammeggiante You got it (keep it out my face) dal primo e migliore album omonimo dal quale - dopo Suck you dry da "Piece of cake" - i nostri estraggono pure Get into yours con la band che viaggia sparatissima senza un attimo di tregua. Si rallenta solo con la splendida Sweet young thing ain't sweet no more celebre lato b del superclassico Touch me I'm sick. Proprio questo è ovviamente il brano più atteso della serata e dopo poco eccola che arriva con il pubblico già caldissimo e con una voglia matta di stage diving che ha creato non pochi problemi al servizio d'ordine del Viper. Davvero curioso pensare che gran parte dei giovanissimi presenti non era ancora nata quando il gruppo muoveva i suoi primi passi in quel di Seattle nel lontano 1988. Touch me I'm sick con i suoi 2 minuti e 35" è sempre stata ingiustamente definita la Smells like teen spirit dei Mudhoney, il pezzo che se fosse stato inciso nel 1991 avrebbe forse lanciato pure Mark Arm e soci nella stratosfera musicale al pari dei celeberrimi concittadini. Esecuzione fantastica qui a Firenze ed ascoltarla rifatta come 25 anni prima è stata un'emozione indescrivibile.
Pubblico in estasi. Sono passati solo 40 minuti dall'inizio ma sembra una vita, del resto la brevità dei pezzi e la velocità d'esecuzione fanno sì che i quattro abbiano suonato un eternità. A questo punto Mark Arm molla la chitarra e con il microfono ben incollato alla bocca si concede un break da cantante solista sulle orme e con le movenze dell'amato Iggy Pop. E dobbiamo dire che What to do with the neutral, I'm now, e The final course appaiono molto migliori delle corrispondenti versioni in studio. Potenza di un live act davvero torrenziale con la voce di Mark Arm che pare quella di uno scatenato frontman hardcore punk ventenne. E' passata poco più di un’ora e i Mudhoney se ne vanno dopo qualcosa come 17 pezzi. Niente paura, il tempo di rifare benzina, birra, vino a go-go e simili e si riparte. Altri 20 minuti da paura glorificati dalle favolose Here come sickness e soprattutto dall'incredibile ed inattesa In 'n' out of grace. Sì proprio quel brano di oltre 5 minuti che più di ogni altro li aveva fatti accostare e considerare la resurrezione dei Blue Cheer, e che aveva di fatto lanciato l'ondata stoner negli anni novanta. Per me lo show poteva finire lì ma il gruppo di Seattle per riconoscenza ad un pubblico davvero entusiasta ha continuato per altri tre pezzi prima di congedarsi davanti alla platea ormai prossima allo svenimento, per lo meno quella scatenata delle prime cinque file che non si è fermata un solo istante. E che pezzi: tre cover quali The money will roll right in dei Fang, Hate the police dei Dicks e Fix me dei Black Flag (!) quasi a rivivere l'epoca migliore del punk di sempre. La riflessione finale è che vedere una band così e pensare che in un’ipotetica scala di popolarità ha un rapporto di 1 a 1000 con i Nirvana mi ha fatto ancora una volta pensare quanto la vita, anche nella musica rock, sa essere ingiusta. Kurt Cobain è morto ma il grunge è sempre vivo, Mark Arm e i Mudhoney sono i suoi profeti, lunga vita a loro.
gran-bel-live-report!