TOdays Festival 2018 - Gianluca Gozzi, direttore artistico TOdays Festival 2018 – Gianluca Gozzi, direttore artistico
Il festival TOdays di Torino giunge quest’anno alla sua quarta edizione (24/25/26 Agosto 2018), che ospiterà tra gli altri Simon Scott, Editors, Echo & the Bunnymen, My Bloody Valentine, Ariel Pink, Mouse on Mars, The War on Drugs e moltissimi altri artisti. Un evento a 360°, unico nel suo genere in Italia, che comprende anche percorsi culturali e laboratori interattivi per gli amanti dell’arte e delle nuove tecnologie. Un taglio particolare e ambizioso che non ha nulla da invidiare alle manifestazioni musicali e culturali d’oltralpe, ideato dalla mente brillante dello storico direttore artistico Gianluca Gozzi. L’abbiamo intervistato per Distorsioni webmagazine.
L'INTERVISTA
Ambra Cavallaro (Distorsioni) - Il tuo curriculum è molto eclettico. Leggo che sei laureato in ingegneria aerospaziale e che per un periodo hai lavorato come docente di Fisica. Poi compare invece un lungo elenco di esperienze legate al mondo della cultura e della musica, che sfociano nell’attuale festival TOdays. Vuoi parlarci di questa evoluzione, di come ti sei inserito in questo contesto e di cosa ti ha spinto a portare avanti questa vocazione?
Gianluca Gozzi - Per rispondere a questa domanda dobbiamo andare parecchio indietro nel tempo e tornare all’inizio degli anni ’90. Io ho sempre vissuto a Torino, in un quartiere periferico, e l’unica alternativa che avevamo alla classica vita che ruotava attorno alle panchine delle case popolari era quella di mettersi in gioco, di entrare noi stessi in azione. In quegli anni, a Torino, c’era una sorta di centro incontri gestito dal comune, un posto in cui le persone più anziane potevano incontrarsi per giocare a carte o i ragazzi per suonare. Io, come molti miei coetanei ero appassionato di musica, suonavo, e quindi cominciai a frequentare questo luogo sognando che un giorno potesse diventare ciò che avevamo in mente, con un bel bar dove passare il tempo e scambiare due chiacchierare con agli amici, con un palco sul quale avrebbero potuto esibirsi le band di nicchia che ci piacevano, e non quelle che vedevamo sulle riviste patinate. Pian piano, col passare del tempo, esso è diventato esattamente ciò che avevamo in mente e oggi si chiama Spazio211. Quindi, in qualche maniera, già da ragazzi giovani abbiamo cominciato a crearci una vita sul modello di come la immaginavamo, facendo ciò che veramente ci piaceva: abbiamo provato a costruire un club, a diventare organizzatori da soli, senza saperlo fare, senza che nessuno ce lo insegnasse, mentre contemporaneamente io frequentavo l’università. Ma è stato un processo lungo, in quanto prima è stato creato il progetto, poi, qualche anno dopo, con tanti sacrifici e tante lotte, siamo riusciti a ottenere gli spazi e la creatività necessaria a poter gestire quel luogo. Le mie esperienze partono da lì, per molti anni abbiamo organizzato festival importanti, dal Traffic a sPAZIALE, a tanti altri. Ho gestito un altro spazio, non più in periferia ma nel centro di Torino, il Blah Blah, un posto aperto 24 ore al giorno, dove si poteva assistere a live di band provenienti da tutto il mondo, a eventi legati al cinema, a conferenze e molto altro. Ora abbiamo invece questo festival che si chiama TOdays, una mia proposta che la città di Torino, in quanto organizzatrice, ha accolto permettendone l’ideazione e la realizzazione.
TOdays è considerato dalla stampa un festival dal taglio internazionale. In effetti la scelta delle location, la struttura con workshop e offerte culturali, la selezione delle band e tutto il resto ricorda molto i festival del Nord Europa, ad esempio quelli che si tengono in Germania o in Danimarca. Ti sei lasciato ispirare da essi o da cosa deriva questo tipo di organizzazione poco comune per gli eventi italiani?
Dunque, in Italia chiamiamo festival eventi che non lo sono affatto, quindi c’è questa illusione per cui per cui tutto è un festival. In realtà, il più delle volte, queste manifestazioni somigliano più a delle sagre di paese o ad animazioni per villaggi turistici che a dei festival, soprattutto se si confrontano con un modello che è, come dici tu, quello europeo, quello del Nord Europa e di paesi che hanno lunghissime tradizioni in questo ambito, come la Francia, la Svizzera o addirittura l’Est Europa. TOdays voleva essere un festival in senso stretto, far parte di quel contesto, e soprattutto non far ridere chi abita oltre Chiasso. Per raggiungere questo scopo è però importante fare delle scelte artistiche, che compatibilmente con i budget a disposizione (infinitamente inferiori a quelli non soltanto dei festival all’estero, ma anche gli analoghi eventi italiani), alle possibilità e anche alle capacità, permettano di creare un cartellone internazionale, quindi con band che difficilmente si trovano nella quotidianità, che non si ha l’occasione di vedere tutti i giorni. L’idea era quella di, anziché andare sul sicuro e costruire un cartellone di nomi unicamente italiani, crearne uno che incuriosisse, che facesse avvicinare le persone intenzionate ad ascoltare qualcosa di ancora NON conosciuto e a lasciarsi stupire, anziché presentare l’ennesimo artista già visto 5-6 volte in un anno.
La scelta delle band e delle line-up è estremamente curata, differisce in maniera sostanziale dall’offerta dei festival contemporanei in Italia e ricorda i giorni felici dell’Arezzo Wave. Nel 2015 il festival nasce in maniera soft, per poi sorprendere con la line-up del 2016 che comprendeva The Jesus & Mary Chain, The Hacker, John Carpenter, M38 e moltissimi altri grandi maestri. La selezione di questa quarta edizione del 2018 mi sembra simile ad essa in qualche modo, quali sono stati i tuoi criteri di scelta?
Allora, ci sono due tipi di risposte che ti posso dare. Una è, come dire, quella “romantica”, secondo la quale dietro all’organizzazione di un festival di 3 giorni c’è un anno di lavoro e di preparazione, soprattutto sulla base di un concept, di un’idea. Nel caso di TOdays questa è, come dice il nome stesso, la contemporaneità, il ‘today’, quindi la rappresentazione della realtà odierna esattamente nel momento in cui è. La volontà è quindi quella di creare un cartellone vario, che abbatta i generi e i confini musicali, portandolo a includere quelle che secondo noi sono le migliori band in grado di trasmettere in questo momento il suono contemporaneo. Pensa solamente ai The War On Drugs, che, pur essendo una band rock, una parola che in questo momento in Italia è un po’ confinata agli estremi dei radar musicali, soppiantata da altri generi, sono assolutamente attuali, contemporanei, cioè hanno esattamente il suono che il rock ha nel 2018. Questa è la risposta romantica. La risposta reale è che, purtroppo, in Italia, non essendo un paese da festival, spesso ci si riduce a far suonare chi c’è in quel momento e chi ci si può permettere di pagare. Perché in Italia non c’è appunto né il pubblico né il mercato da festival, così come invece è presente in altri paesi, quindi si prediligono le date singole e di conseguenza spesso si fanno suonare band internazionali di passaggio tra un festival e l’altro durante il cosiddetto day-off, ad esempio di mercoledì. A questo punto, se organizzi un festival concentrato in 3 giorni, spesso ti devi un po’ adattare e trovare un equilibrio tra ciò che vorresti e ciò che puoi permetterti di fare, quindi tra il volere e il potere. Questo non lo vedo però come un aspetto negativo, perché la bravura sta proprio nel trovare questo equilibrio e nell’essere in grado di valorizzare al massimo il proprio lavoro, facendo in modo che le persone non vengano ad assistere esclusivamente al singolo concerto, bensì al festival nella sua interezza. Dalla prima edizione del TOdays a quella dell’anno scorso con PJ Harvey, o a quella di quest’anno con nomi come Mount Kimbie e tanti altri, l’idea è sempre stata quella di non far tornare a casa le persone dicendo “Sono andato a vedere gli Editors”, “Sono andato a vedere i My Bloody Valentine” o “Sono andato a vedere PJ Harvey”, bensì “Sono andato a TOdays”. Si dà quindi molta importanza all’idea di partecipazione al festival, che offre sin dal primissimo pomeriggio fino a notte fonda tanti eventi fatti di musica e non solo. In questo modo per il pubblico avrà lo stesso valore scoprire una band che forse non conosce, come gli australiani King Gizzard and The Lizard Wizard, piuttosto che assistere al live degli Editors. Anche con gli artisti italiani cerchiamo di mettere in atto questa filosofia. Accanto a un nome come Cosmo, un artista sicuramente attuale nel panorama contemporaneo italiano, in grado di abbattere i confini e unire la musica da clubbing più spinta ad aspetti, per così dire, più cantautoriali, ci sono tanti artisti che rappresentano le potenziali stelle nascenti del Made in Italy, e quindi si tratta un po’ di una scommessa in questo senso.
Parlando sempre degli artisti italiani che andranno in scena noto che, escludendo alcuni (pochi) nomi, si è puntato molto sul pop melodico, rispetto al 2016 in cui si è preferito dare voce a progetti più di nicchia e dalla sonorità oscure. Si tratta di una scelta casuale quella di affiancare Daniele Celona e Colapesce a Echo & The Bunnymen e My Bloody Valentine?
No, in realtà si tratta di una scelta oculata, nel senso che per noi, nel 2018 non ha più senso dividere la musica dal genere musicale, non esiste il pubblico della computer-music e quello delle star. Ed è proprio questo il messaggio, inserire un artista pop-rock come Daniele Celona in una giornata da scoprire, in cui i suoni diverranno più ostici, meno rassicuranti, come con i My Bloody Valentine, che comunque suonano un pop, un pop rumoroso, che ti incanta e che ti devasta. I nomi italiani sono moltissimi: tra questi compaiono anche Giuseppe Ielasi o Fabio Perletta, artisti che The Wire elenca tra i migliori 50 artisti di musica sperimentale nel mondo, e che magari in Italia non sono così conosciuti. Quindi, partendo dal pop per arrivare alle musiche più oscure e meno rassicuranti, diciamo che abbiamo cercato di creare un cartellone abbastanza uniforme. Anche in questo caso, non vorremmo che il pubblico nell’andarsene a casa affermasse “Wow, è stato esattamente come me l’aspettavo”, bensì “Wow, è stato esattamente come NON me l’aspettavo”. Il nostro scopo è quello di stupire, non di trovare consenso. Non viene scelto un artista perché crea consenso, perché crea hype, ma al contrario cerchiamo tensione, tensione creativa, in modo che ognuno vada a casa con la sua dose di ‘lode e infamia’, come si suol dire. L’importante è che la musica ascoltata e le emozioni provate in quei 3 giorni incidano sulla coscienza dei partecipanti, e, anche se sembra presuntuoso, questa è effettivamente la missione di un festival, altrimenti diventa come ti dicevo all’inizio una sagra di paese, in cui si va, si vede il concerto, poi c’è il cambio palco, poi il gruppo successivo e poi si torna a casa esattamente come si era prima. Far scoprire musiche nuove, non necessariamente rassicuranti o piacevoli, è lo scopo di TOdays, oltre a creare un ambiente in cui le persone ridono, non tutte per forza della stessa cosa, e ascoltano musica, anche se non necessariamente la stessa.
Trovo la selezione dei workshop, installazioni e letture veramente straordinaria. C’è una filosofia che vuoi incarnare proponendo questo tipo di iniziative culturali, un tipo di offerta ancora poco conosciuta sul territorio italiano? In un’intervista relativa all’edizione 2015 hai dichiarato di aver avuto l’idea di creare una specie di “percorso” che collegava tutte le location e gli eventi tra loro. Questi laboratori sono una parte di questo percorso, che si è evoluto nel tempo insieme alle tecnologie e al festival stesso?
Sì, si tratta di un festival nel festival, della durata di 3 giorni, chiamato TO_Lab. È proprio una sorta di percorso fisico, perché questo si sviluppa nella città stessa, in luoghi distanti pochi minuti a piedi l’uno dall’altro. In questa maniera, spazi particolari come una galleria d’arte, un museo, degli ex magazzini industriali avranno l’opportunità di ospitare una serie di appuntamenti che, nel caso specifico di quest’anno, tratteranno il tema dell’innovazione attraverso la realtà virtuale e il 3D. Questi sono dedicati non solo a chi vuol vivere la musica da spettatore di un concerto, ma anche agli addetti ai lavori, come giornalisti e ‘visionari del futuro’, che potranno raccontare la musica e molto altro durante queste 3 giornate. Essi sono parte di un percorso con il quale si vuole raccontare la contemporaneità, l’attualità, il ‘today’, il presente, tramite l’utilizzo di arti che si mescolano sempre di più tra loro, come, nel caso specifico della realtà 3D, in cui l’aspetto visual, la visual motion, si mescolano con la musica stessa. Come dicevamo prima, il percorso di questi 3 giorni non rappresenta solamente un iter del tipo concerto-cambio palco-concerto successivo, bensì uno che prevede l’immersione completa in una serie di emozioni in grado di aprire delle porte. Ci sono festival in cui ciò avviene grazie alle location bellissime in cui si svolgono, come montagne o mare, ma noi qui siamo in una città, Torino, a fine agosto, in un weekend sicuramente accaldato, dove vogliamo creare un percorso attraverso tutte le arti e le loro contaminazioni nel contemporaneo.
La scelta degli spazi non mi sembra lasciata al caso. Quali sono stati i criteri di selezione delle location? Incarnano in qualche modo l’anima della Torino che vorresti veder fiorire? Sotto quali punti di vista?
Sì, in questo caso il luogo non è soltanto il luogo. L’idea che sta alla base di TOdays è quella di individuare dei luoghi fisici rendendoli parte dello spettacolo, facendo sì che fungano da risuonatori, riverberatori della musica che contengono. Quindi abbiamo cercato di sviluppare su un asse comune in periferia, una periferia puramente geografica ma non culturale, questo gioco di rendere centrali musiche di confine, musiche periferiche. Per fare questo abbiamo individuato dei luoghi, come Spazio211, parco Peccei, con il primo palco completamente eco-sostenibile in Italia, o ex aree industriali di inizio ‘900, abbandonate e in seguito riqualificate o rigenerate dalla città, nelle quali si svolgeranno tutti gli eventi notturni del TOdays. Quindi il luogo diventa ‘parte di’, e si tratta anche di una missione politica che si propone di suggerire all’amministrazione di utilizzare questi luoghi anche al di là dei 3 giorni di festival. Quindi un museo non è più solamente un luogo dove andare la domenica a vedere una mostra di qualcuno, ma bensì uno spazio in cui ad esempio Calcutta, il primo anno, ancora abbastanza sconosciuto, inventò un rifacimento corale dei suoi pezzi, dove mettere in atto qualsiasi produzione realizzata ad hoc. Il luogo diventa parte di un’esperienza che unisce pubblico, luogo e artista in un aspetto corale che include la musica che in esso si svolge.
Infine, un’ultima questione che mi ha colpito rispetto a questo festival sono i prezzi ragionevolissimi. Non è poco vedere esibirsi in una sola serata Echo & The Bunnymen e My Bloody Valentine al modico prezzo di 25 €, avendo inoltre l’opportunità di partecipare a laboratori estremamente moderni e tecnologici a titolo gratuito. Per lo meno non in una capitale come Londra o Berlino. Ma neanche a Roma o Milano. Si tratta di un modo per favorire la partecipazione a questo tipo di eventi e di incoraggiare i giovani ad avvicinarsi a nuove frontiere?
TOdays nasce nel 2015 da esperienze precedenti, o meglio, la città portava avanti esperienze precedenti. Mi ricordo il Traffic, un evento completamente gratuito. Ecco, TOdays parte dal principio che il gratuito non faccia bene alla musica dal vivo, perché vorrebbe dire mettere tutto sullo stesso piano invece che dare alle cose il proprio valore. Un valore che si esprime anche attraverso un biglietto, il quale diviene anche un modo per incitare le persone a partecipare, perché, pagando quei 25€ (e da più tardi addirittura meno) per assistere a dei concerti, queste diventano in qualche modo autrici, creatrici del festival stesso. TOdays rimane comunque un progetto organizzato dalla città di Torino, quindi fondamentalmente istituzionale, che ha il dovere di portare avanti delle esperienze che siano effettivamente culturali e quindi l’accessibilità è un punto importante. Per noi l’idea è che ci sia un biglietto equo e giusto rispetto al mercato attuale in Italia, il quale prezzo, se paragonato a quello dei festival degli altri paesi, risulta spesso ridicolo e inferiore a quelli di un singolo concerto di uno dei più di 40 artisti proposti dall’edizione del 2018 di TOdays. Però dobbiamo prendere coscienza del paese in cui viviamo, in cui le persone ormai spesso faticano a spendere per andare ai concerti. Questo aspetto si è molto accentuato negli ultimi anni, quindi noi vogliamo dare la possibilità a diverse persone di scegliere di passare l’ultimo weekend di agosto al festival per assistere a uno o più concerti anziché di al mare o di comprarsi l’ultimo modello di iPhone. Questo è il senso anche di un biglietto “popolare”.
Ti ringrazio della tua disponibilità a nome di tutta la redazione di Distorsioni e attendo con ansia di partecipare al festival TOdays a Torino.
Correlati →
Commenti →