Statuto Da 35 anni diamo voce alla cultura mod
I N T R O
L’elisir di lunga vita nel mondo della musica? La coerenza, l’osservanza dei propri ideali, l’identità. Già, perché se un album di canzonette può garantire un sicuro successo effimero, ben altra storia è rimanere per 35 anni sulle scene con immutata capacità di essere punto di riferimento per un intero movimento, per tutta una cultura. Stiamo parlando degli Statuto, band torinese che quest’anno ha spento la trentacinquesima candelina e a cui viene istintivo associare l’aggettivo “mod”. Dello stile, della cultura e della mentalità mod, infatti, si sono fatti megafono in tutti questi anni in giro per l’Italia e il mondo, portando gli ideali del modernismo con la medesima fierezza sui palchi più eterogenei. Dal Festival di Sanremo ai concerti in sostegno dei lavoratori licenziati, dal FestivalBar a l’Havana, dal Cantagiro allo Zecchino d’Oro. Stile inconfondibile e attitudine da “gentiluomini di città”, gli Statuto hanno cantato e cantano, a suon di ska, power pop e northern soul, pungenti testi di denuncia sociale e veri e propri inni diventati colonna sonora di almeno tre generazioni di mods italiani e non solo, dimostrando come il modernismo sappia resistere all’usura del tempo e, anzi, riesca a rinnovarsi senza mai ghetizzarsi. ----- “Vita pulita in circostanze difficili”, il motto dei mods tratto dal titolo del libro di Terry Rawlings, o meglio Rabbia e Stile, come recita il brano con cui aprono i loro concerti e che sintetizza al meglio tutta la filosofia che accompagna il gruppo fin dal 1983. Abbiamo incontrato i due membri fondatori della band, Oskar Giammarinaro (voce solista) e Giovanni “Naska” Deidda (batteria) lo scorso sabato 2 giugno in piazza Statuto a Torino, il polo gravitazionale di tutta la cultura mod italiana, per fare due chiacchiere sul modernismo e sull’importante compleanno di una band che non smette di scrivere la sua storia.
L’INTERVISTA
Riccardo Resta (Distorsioni) - A gennaio avete pubblicato Va Tutto Bene, singolo che celebra i vostri 35 anni di carriera. Se doveste fare un bilancio?
Oskar - I bilanci si fanno alla fine. Fino ad ora è andato tutto bene, come cantiamo nella canzone, tra varie difficoltà, molte soddisfazioni e altrettante insoddisfazioni, gioie e dolori.
Naska - Se nel 1983, quando abbiamo iniziato, ci avessero detto che dopo 35 anni saremmo stati ancora in pista a fare tante date in giro per l’Italia non ci avrebbe creduto nessuno, noi per primi. Abbiamo alti e bassi, dobbiamo affrontare difficoltà contingenti legate alla carriera artistica e al cambiamento della società e quindi anche alle variate condizioni di fruizione della musica. Sono cose che capitano anche alle superstar, ovviamente con parametri diversi.
C’è un desiderio che ancora non avete realizzato e che vorreste realizzare?
N - Se volessi sparare alto direi che mi piacerebbe suonare con gli Who, o che Pete Townshend producesse un nostro disco o un nostro pezzo. Sono sogni irrealizzabili, ma alla fine sognare non costa niente. Quando abbiamo iniziato, sembrava impossibile anche suonare sullo stesso palco con quelli che già all’epoca erano dei nostri idoli, e invece siamo riusciti ad aprire i concerti di Paul Weller, Madness, Bad Manners, Selecter, Specials e Oasis. Miraggi che alla fine si sono realizzati; chissà cosa può accadere nei prossimi 35 anni.
O - Sarebbe bello l’intervento di qualche artista straniero nei nostri dischi, o come ospite o come produttore. Noi abbiamo già collaborato con James Taylor del James Taylor Quartet; ci piacerebbe – ad esempio – lavorare con un componente dei Madness o con Paul Weller.
Avete conosciuto i fratelli Gallagher. Come sono dal vivo?
N - Li abbiamo incontrati un paio di volte. Se ne stanno molto per fatti loro, non ho assistito a scene eclatanti. Secondo me c’è una grossa componente “folkloristica” dietro i vari episodi di violenza che hanno caratterizzato la storia della band. A giudicare dalle frecciatine che si scambiano a mezzo stampa è comunque molto probabile che si odino davvero.
O - Sono convinto che abbiano veramente grossi problemi tra di loro. Non conoscendo l’inglese, quando li ho incontrati mi sono fatto aiutare da qualche traduttore, ma con loro si è parlato solo di calcio.
L’anno scorso avete pubblicato (su Universal Music Italia) la ristampa di “Zighidà” a 25 anni dall’uscita. Riascoltandole dopo tutto questo tempo molte delle canzoni contenute in quel disco sembrano scritte oggi; avreste immaginato all’epoca di scrivere pezzi di musica che si sono tradotti in pezzi di storia italiana che in 25 anni praticamente non è cambiata?
O - In quel disco sono presenti testi di denuncia sociale che purtroppo hanno ancora oggi un significato, e non è una cosa positiva. Se si vuole ripercorrere la vita metropolitana in Italia dalla metà degli anni ’80 a oggi si possono ascoltare i nostri dischi, dove abbiamo sempre raccontato episodi di vita in strada vissuta in prima persona. Lo abbiamo sempre fatto in maniera credibile e coerente nelle nostre canzoni, e i nostri album sono delle vere e proprie fotografie della “strada” nei vari periodi che abbiamo attraversato.
N - In “Zighidà” è contenuta Balla, canzone che parlava dei ragazzi chiamati a svolgere il servizio militare obbligatorio. Quello è l’unico aspetto della società italiana che è veramente cambiato in meglio in questi 25 anni; tutto il resto è sempre uguale o addirittura in alcuni casi è anche peggiorato.
Nell’immaginario comune, il più importante gruppo mod della storia sono stati i Jam, che hanno però sempre rifiutato il ruolo di icona del movimento. Voi Statuto e la piazza che vi dà il nome invece siete diventati un vero simbolo della cultura mod italiana ed europea. Avete avvertito in questi anni il peso, la responsabilità di rappresentare il modernismo?
O - Non è un peso, anzi. La viviamo come una piacevole missione: esistiamo proprio per far conoscere il modernismo a quanta più gente possibile. Abbiamo scelto all’inizio la musica perché è il mezzo di comunicazione più immediato e continuiamo a farlo adesso. Per noi è normale, è il senso stesso della nostra esistenza: senza modernismo non ci sarebbero gli Statuto. Quanto ai Jam, una band che rifiuta l’etichetta “mod” (come si diceva all’epoca) già si pone con un atteggiamento sbagliato. Se parliamo di simbolo del modernismo che ha insegnato ai giovani musicisti il significato di essere una band mod ti faccio il nome dei Secret Affair, che sono stati autori di un vero percorso modernista.
N - Negli anni ’80 Paul Weller aveva già preso ampiamente le distanze dal modernismo, dicendo addirittura in alcune interviste che se in Italia c’erano ancora i mods forse era perché eravamo rimasti ai tempi di Giulio Cesare. Poi è tornato sui suoi passi: ha capito che a livello “commerciale” essere incasellato in quel tipo di definizione gli poteva tornare utile e l’ha fatto, avendone per altro ogni titolo.
Negli ultimi due anni avete collaborato con due artisti molto diversi tra loro: Caparezza, con cui avete pubblicato la versione 2017 di Qui Non C’è il Mare, e il comico Max Giusti, intervenuto in Va Tutto Bene. Com’è stato lavorare con loro?
N - Caparezza lo conoscevamo già fin dai tempi in cui veniva a Torino per registrare i dischi con Carlo Rossi, il nostro produttore dell’epoca purtroppo scomparso nel 2015. C’era già una reciproca stima tra di noi; attraverso questa conoscenza in comune sapevamo che lui ascoltava i nostri album fin da quando era a Milano nei primi anni ’90 e che era un nostro “ammiratore”. Già nella versione originale di Qui Non C’è il Mare c’è un pezzo rappato, quindi il primo nome a cui abbiamo pensato per la nuova versione è stato il suo e lui ha accettato di buon grado. I diritti della parte di testo cantata da Caparezza sono stati devoluti all’associazione che porta il nome di Carlo Rossi per istituire una borsa di studio in favore dei giovani che vogliono intraprendere la carriera di produttore, un ruolo che rimane sempre un po’ oscuro nella pubblicazione di un disco. Max Giusti, invece, lo abbiamo conosciuto un paio di anni fa a un evento benefico organizzato da Ron per la ricerca contro la SLA. Anche in quel caso si è venuto a creare un feeling immediato e abbiamo pensato di realizzare una canzone con un ospite non “tradizionale”. Il brano ha uno spirito un po’ scanzonato e quindi Max Giusti era la persona ideale per cantarlo con noi. Lui è stato ben felice di aderire e, per altro, ha chiamato proprio “Va Tutto Bene” lo spettacolo teatrale che ha portato in giro questo inverno e che andrà avanti anche in estate. Due mondi diversi che si sono integrati benissimo tra loro.
Quali sono i vostri prossimi appuntamenti live? Avete in programma un nuovo disco?
N - Abbiamo sette date in programma a giugno, altre cinque già fissate a luglio, altrettante ad agosto e abbiamo in corso diverse trattative per settembre. Tutte le date sono disponibili sul sito statuto.net e sul Facebook de Gli Statuto. Nel 2016 abbiamo pubblicato un disco d’inediti, “Amore di Classe”, e nel 2017 abbiamo ristampato “Zighidà” in formato doppio CD con un live del 1992. Quest’anno abbiamo pubblicato il singolo Va Tutto Bene; al momento non stiamo pensando a uscite nuove ma sicuramente qualcosa accadrà.
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