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6 Novembre 2012 , ,

The Soft Moon ZEROS

2012 - Captured Tracks
[Uscita: 5/11/2012]

The Soft Moon - “Zeros” (Captured Tracks,# Consigliato da DISTORSIONI

 

Si appropria delle sperimentazioni visionarie e del suono straniante di "Alien Sountracks" dei Chrome, il secondo atteso full lenght  di Luis Vasquez. Raggiunto ormai il pieno organico da band, i Soft Moon si rendono impermeabili ad ogni velleità glam. Le traiettorie sembrano convergere con maggiore pregnanza sul quadrato di San Francisco, sulla Ralph Recods e tutte le influenze che dal finire degli anni 70 hanno segnato l’insorgere di quel proto-industrial ossessivo, denso, claustrofobico e pieno di distopici presagi. Le atmosfere rarefatte e incantate, sempre cupe e ombrose ma a tratti sognanti ed elegiache, lasciano il posto ad un suono più incalzante, lacerato da vere e proprie abrasioni elettroniche e sferragliate stridenti. La weltanschauung di rock gotico decadente di matrice europea, gli spifferi elettronici (perfetta l’alchimia nel singolo realizzato con John Foxx and the Maths appena pochi mesi fa) sono come ibernati in una inquietudine opprimente, coriacea e impenetrabile. Baccanali esoterici, beat motorik giocati su percussioni incalzanti e frenetiche.

 

Il cielo si fa plumbeo e pesante come un macigno, nessun battito d’ali di pipistrello e nessun lampo a celebrare la morte di Bela Lugosi. Riti pagani, tribalismi primitivi ad evocare lo spirito inquieto dei Bauhaus o dei Virgin Prunes di “If I die, I die” per votarlo alle tenebre. Sciamanesimo vorace e truculento che esige l’immolazione degli scalpi tra i rami aridi dello Joshua Tree, fino a che l’odore fetido ne raggiunga la Silicon Valley.Sembra essere questo il macabro progetto di Vasquez e compagni. In Machines, Die Life e Lost Years convivono le pulsazioni metallurgiche e i singulti pow wow in una forzata retorica trash vintage che richiama tanto i Clock DVA che certi vertici parodistici cari alla teatralità di Rozz Williams e ai suoi Christian Death. Predominano ripetitività e veementi cavalcate boogie.

 

Uniche variabili al rumor bianco sembrano essere Want e ƨbnƎ ƚI, inframezzate da distorsioni e feedback che tuttavia non diradano il gelo esistenziale. Insides presenta riverberi di basso che riconducono a Faith dei Cure ma la saturazione senza catarsi e la eco ridondante suggerisce un Robert Smith da esorcizzare piuttosto che in crisi mistica. Decisamente banali e nauseabondi invece Remember the future e Crush. Acefala e piena di citazioni scontate la title track. Non posso fare a meno di chiedermi se i prodromi della degenerazione erano già insiti nei clangori dell’esordio. La frase conclusiva a tutto ciò mi viene prontamente evocata dalla cover: una lastra di granito incisa dalla creatività asettica di un laser. Le conclusioni traetele voi.

Romina Baldoni

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