Robyn Hitchcock THE MAN UPSTAIRS
[Uscita: 26/08/2014]
# Consigliato da Distorsioni
E con questo fanno 20. Almeno, dovrebbe essere questa la cifra. Poi si sa che nell’universo parallelo di Robyn Hitchcock nulla è mai ciò che sembra, e magari la discografia di questo gentiluomo psichedelico - che superati i sessant’anni insiste nel voler indossare camicie improbabili e inguardabili - assomma qualche altro centinaio di titoli che non conosciamo. Tutto è possibile, oltre lo specchio hitchcockiano. L’uomo che da giovane raccontava di gente mangiata dalla sua stessa cena, o di voler essere una ragazza carina (ma solo ogni tanto), per festeggiare la cifra tonda ha deciso di tenere basso il quoziente di surrealismo e di optare per un approccio semplice e “nature”. Nel far questo, si concede anche la soddisfazione di soddisfare un antico sogno adolescenziale: quello di essere prodotto da Joe Boyd. “Non esistono parole nell’universo per dire quanto sia felice di collaborare con Joe”, ha dichiarato un emozionato Hitch. Facile credergli: per un artista che venera da sempre Nick Drake, Syd Barrett, l’Incredible String Band e i Fairport Convention, potersi affidarsi alle cure di un uomo che in un modo o nell’altro ha avuto a che fare con ciascuno dei nomi citati (per tacere di altri vecchi amici di Robyn, e cioè i R.E.M.) rappresenta quasi una laurea honoris causa.
I due avevano già incrociato le loro strade un paio di anni fa, quando il musicista aveva accompagnato il discografico/produttore/manager/scrittore in una serie di letture del memoir di Boyd, “White Bycicles”, durante i quali si dilettava con cover cotte-e-mangiate di classici deiSixties. Non stupisce troppo, perciò, che in questo The Man Upstairs metà della scaletta sia composta di canzoni altrui. Una scelta che rientra nel classico canone da folksinger d’antan, e del resto nelle parole di Hitchcock e Boyd l’album viene descritto come un tentativo di fare una sorta di “disco di Judy Collins metà anni Sessanta”. La definizione è fulminante, e tutto sommato dopo l’ascolto si può essere pure d’accordo. Opera folk, questa, nello spirito e nella lettera: ad accompagnare la voce e la chitarra di Robyn, infatti, troviamo giusto le note sparse di un piano e di un violoncello, oltre alla voce della norvegese Anne Lise Frøkedal, metà del duo indie-pop I Was A King.
Tra le cover è proprio quella di Ferries, brano di questi ultimi, a brillare maggiormente grazie alla sua melodia ariosa, ma colpisce nel segno anche la versione elegantissima di The Ghost In You degli Psychedelic Furs (pezzo che Hitchcock già da anni suona dal vivo), mentre la doorsiana Crystal Ship e To Turn You On di Bryan Ferry pagano forse un eccesso di deferenza nei confronti degli originali. Quanto alla Don’t Look Down di un altro compagno di scorribande (Grant-Lee Phillips), l’intensità della resa viene smorzata dal piglio un po’ troppo sonnolento. Tra gli originali hitchcockiani da segnalare la delicatezza francofona di Comme Toujours, l’andamento swingante da r’n’b senza spina attaccata di Somebody To Break Your Heart e soprattutto l’eterea conclusione di Recalling The Truth. In attesa di nuove avventure a base di elettricità, jingle jangle e testi sui granchi, questo Hitch malinconico e volutamente dimesso ci piace quasi quanto quello di lontane oasi acustiche come “I Often Dream of Trains” e “Eye”. Nel primo c’era una canzone intitolata Autumn Is Your Last Chance: se la nuova stagione del musicista inglese comincia così, su di lui possiamo nutrire ancora grandi speranze.
Correlati →
Commenti →