Steve Earle & The Dukes TERRAPLANE
[Uscita: 17/02/2015]
USA #Consigliato da Distorsioni
“And I feel so lonesome, you hear me when I moan / When I feel so lonesome, you hear me when I moan / Who been drivin' my Terraplane, for you since I been gone”.
Così cantava nel lontano 1936 Robert Johnson nella sua celebre Terraplane Blues, canzone in cui la mitica automobile prodotta nell'era della Grande Depressione dalla Hudson Motor Company, diveniva metafora del sesso. E' proprio a quella Terraplane che Steve Earle si ispira per omaggiare più o meno indirettamente Robert Johnson il cui fantasma si aggira tra le undici tracce che compongono l'album. Perché il blues è quella mistura antica composta dalla semantica della tristezza, della nostalgia e della dialettica tra l'uomo ed il peccato. Per essere autentico il blues non deve avere i colori del giorno ma della notte, deve mescolare le parole della redenzione con quelle della dannazione e deve cantare non la gioia ma la malinconia di una lontananza da esorcizzare. In questo senso ”Terraplane” di Steve Earle & The Dukes è autentica declinazione di blues.
Registrato alla House of Blues di Nashville, lì dove è passato anche Johnny Cash, l'ultimo album di Earle è il prodotto di una sedimentazione che va da Townes Van Zandt - dal quale mutua una certa narrativa polemica e di denuncia - sino a ad arrivare a Lightning Hopkins da cui il Nostro acquisisce un mood asciutto e senza fronzoli. Ciò che colpisce in positivo di Terraplane è che tutto sembra essere al suo posto grazie alla buona scrittura dei pezzi ed al tiro di una band, composta da Chris Masterson alla chitarra, dal bassista Kelley Looney e dal batterista Will Rigby, che ricorda per precisione e quadratura ritmica i Crazy Horse. Al centro di tutto, però, c'è la voce di Earle con le mille increspature di una vita a raccontare quegli eccessi del mondo dai quali pare essersi definitivamente disintossicato. Il brano di apertura Baby baby baby (baby) è programmatica nel pagare pegno alla tradizione, con la voce leggermente riverberata a ruggire nel microfono ed una chitarra sotterranea che riempie gli spazi, mentre la successiva You're the best lover that i ever had ha un riff suonato con una chitarra acustica che potrebbe essere uscito dalle dita di Keith Richards.
Con Tennessee Kid, però, calano le tenebre, celebrandosi il racconto di quel famigerato crocicchio presso cui Robert Johnson incontrò Lucifero al quale vendette la propria anima, ottenendo in cambio il dono del blues. Se i toni si ammorbidiscono con il bluegrass di Ain't nobody Daddy now, con la struggente Better off alone il Nostro fa un bilancio dell'ennesimo naufragio sentimentale, incastonando al centro un assolo di stampo claptoniano. Altra perla del disco è Go go boots are back con un gran lavoro di chitarre ritmiche ed una Acquainted with the wind che omaggia Chuck Berry. Degno di nota il ragtime di Baby's just as mean as me cantata insieme ad Eleanor Whitmore. In chiusura è posta King of the blues e c'è da perdersi in quel ronzio tipico della saturazione della chitarra e in quel tremolo assassino che ricorda così tanto Hey Joe. Purtroppo il viaggio finisce qui e, anche se non è stato sempre all'altezza delle aspettative, vale la pena di riaccendere il motore per fare un altro giro.
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