Stefano Meli Stray Dogs
[Uscita: 14/02/2020]
Un suono senza confini, quello di Stefano Meli, senza barriere o limiti geografici, etnici, religiosi, concettuali. Note che erompono come da arcane profondità, quasi senza origine, scaturigine di bruciante rifiuto di ogni omologazione classificatoria e categoriale. Chitarra, armonica, l’eco perduta di un violino (Anna Garcia Galba) e la pulsazione ctonia di tamburi dispersi nell’aria (Ugo Rosso). Versi di una musica apolide, desertica, evocazione pura di spettri interiori nelle lande desolate della coscienza, caratteri scolpiti nell’indicibile come sulle acque specchianti dello sguardo rassegnato di un cane randagio. Ecco (dopo sette album da solista, compreso " No Human Dream", recensito su Distorsioni nel 2017), “Stray Dogs”, per l’appunto, per l’etichetta indipendente Viceversa Records. Un album che narra di solitudini feroci, quello dell’artista siciliano, tuffate nell’ustorio riflesso di un boccale di birra, quando il mondo pare giunto al capolinea a metà strada tra la Sicilia e il nulla. Una musica in cerca di una patria, così come il cane randagio insegue la meta del suo stesso esilio, sospesa tra i richiami funerari del Neil Young di “Dead Man” e il John Fahey di “America”. Segmenti di folgorante pregnanza, quali l’iniziale The Stranger, tocchi liquidi di chitarra tessuti nel concetto di non appartenenza, o Absence, cupa meditazione sonora sull’assenza come vero habitus mentale, rendono già il senso del disco. Song Of Indifference, disperato blues del deserto più inespugnabile, raggiunge vertici artistici di notevole livello, mentre Ghost Ship sembra rievocare la drammatica attualità di persone in cerca di un luogo dove poter esplicare il proprio ideale di libertà, lontano da tirannie e discriminazioni, lontano dalla spietatezza dell’umana schiatta. Down There At The Bottom riporta il suono nelle oscure contrade dello spirito dove non indugia alcuna luce, mentre Stray Dogs ricalca con le note della chitarra i passi felpati del cane randagio che vaga nei mesti pascoli dell’anima condannata alla ricerca senza scopo, e Far, con la chitarra acustica di Massimo Martines, è desiderio di terre lontane in cui serenamente bruciare al fuoco lento della memoria. A sigillare un album di rimarchevole fattura, At The End, quasi un promessa di un nuovo inizio alle soglie del limite abissale che marca la fine del viaggio nei paurosi meandri dell’animo umano.
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