Modest Mouse STRANGERS TO OURSELVES
[Uscita: 16/03/2015]
USA
Il Venture Out RV Resort si trova a Mesa, Arizona. Si tratta di un villaggio turistico per anziani piazzato in mezzo al deserto in cui la comunità di persone che vi alloggia svolge svariate attività ricreative tra bungalow e palme degne di un set di Hollywood. Quello che è fotografato sulla copertina di “Strangers to ourselve”s non è la riproduzione di un mandala tibetano funzionale a raffigurare la fugacità della vita, bensì la vista satellitare proprio del Venture Out RV Resort che ne svela un'inquietante forma poligonale. Iniziamo dall'ossimoro della copertina dell'ultimo album dei Modest Mouse per dire subito che la band di Isaac Brock, otto anni dopo l'ottimo “We Were Dead Before the Ship Even Sank”, ha licenziato quindici nuove canzoni che cantano gli eccessi postmoderni della nostra società, declinando la migliore estetica di un electropop che va dai Talking Heads sino ai New Order, attraversando le asperità dei Television, con l'aggiunta di un'attitudine indie contemporanea, obliqua e corale. Si inizia con la traccia che dà il titolo all'album in cui Brock intona una sorta di ninnananna per il genere umano, sostenuta da un giro di archi toccante e dai suoni eterei. E' la successiva Lampshades on fire a dare le coordinate del viaggio, con la benedizione di Joe Strummer e dei Clash a fare da numi tutelari ad un ritmo in levare che non fa stare fermi. Shit in your cut ha un incipit minimale con un arpeggio che potrebbe essere di Tom Verlaine ed una coda di strumenti e voci che saturano ogni cosa. Basterebbe questa tripletta iniziale per stendere l'ascoltatore.
Invece, ecco che i nostri fanno un passo falso con Pistol (A. Cunanan, Miami, FL. 1996), a metà tra Afrika Bambaataa e Beastie Boys, che spezza il continuum di bellezza fino a quel momento disegnato. Per fortuna ci si riprende con Ansel in cui le atmosfere si fanno caraibiche, sfociando in un breve ma efficace ritornello da cantare a squarciagola. Se The ground walks, with time in a box potrebbe essere uscita da un album degli Interpol, con Coyotes siamo a metà tra folk e shoegaze, toccando il vertice dell'album. Da segnalare il delicato video che cita un cortometraggio tratto da un episodio di vita reale, in cui si riprende lo strano percorso fatto da un coyote che sale su una metropolitana deserta, si stende su due sedili e si addormenta sognando il bosco prima di scendere ed incontrare statue di altri animali. Se l'idillio è subito spezzato dall'incedere grottesco e brechtiano di Sugar Boats, i Modest Mouse si congedano con la magniloquenza di The Best room, destinata a diventare un instant classic della band, e Of course we know che chiude il cerchio, riannodando i fili della malinconia cantata con la traccia iniziale. Strangers to ourselves è un buon disco che ha come unico limite una durata eccessiva ed una energia che a volte si disperde in troppi rivoli, ma allo stesso tempo è un enorme contenitore in cui ognuno troverà qualcosa che gli piacerà. Alzare il volume e cantare a squarciagola: “Ain't it feeling tired all the time. Don't you, don't you…” per credere. Perché si sa, il rock non è mica musica da villaggi per anziani.
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