Johnny Throttle S/T
[Uscita: 5/12/2011]
# Consigliato da DISTORSIONI
Vengono da Londra i Johnny Throttle, formazione votata al purismo punk rock, inteso e suonato in quell’unica maniera in cui dovrebbe essere fatto: sporco, veloce, sguaiato, gonfio di birra, proletario nello spirito e spinto da quell’urgenza di bruciare tutto e tutti, che è la caratteristica principale, almeno per chi scrive, che una buona band punk rock dovrebbe sempre avere, il punto di partenza e quello di arrivo di una scelta musicale ben precisa, che va al di là delle mode e dei recuperi ciclici. Nella band militano componenti provenienti da una buona fetta della scena underground punk d’oltremanica (ci sono ex Parkinsons, Menace, Shakin’ Nasties, Jackoffs, Chinese Lungs, Stains and Urban Shocks…), e gli intenti del gruppo sono chiarissimi fin dalla prima traccia del loro ultimo omonimo disco, uscito per Dirty Water Records: una mezzoretta di musica al fulmicotone che ha tutte le carte in regola per essere amata da chiunque si sia lasciato e si lasci ancora oggi uccidere dolcemente dalle sguaiatezze dei Pistols, dei primi Clash, degli Adverts, dei Vibrators o degli Slaughter And The Dogs, solo per citare la punta di un iceberg fatto da una miriade di band.
Gli ingredienti ci sono davvero tutti, uno più esplosivo dell’altro: la band suona un punk rock “classico” smaccatamente “Inghilterra-1977”, tutti i caratteri (e i cliché, nel senso buono del termine) sono rispettati, i (cattivi) maestri sono tutti bene o male citati, la lezione è stata assimilata con maestria, l’estetica da “marci, sporchi e imbecilli” viene riproposta con lo stesso furore adolescenziale e con lo stesso nichilismo di una volta, come se il tempo si fosse fermato. Il disco scorre nervoso, tiratissimo, le parti cantate rimandano ai mostri sacri (da Rotten a TV Smith, fino ai minori), così come le chitarre, che urlano e dall’Inghilterra guardano e ammiccano al padre di tutti i chitarristi punk, quel Johnny Thunders che ha, di fatto, “inventato” la chitarra punk, intesa come una versione depravata del rock’n’roll a sei corde di Chuck Berry. Pezzi come Johnny go mental, Love me til’ I come (con un ritornello-coro-da-stadio degno dei migliori Slaughter and the Dogs), Spazztastic (notevole), I wanna be your ex, riportano il cuore degli ascoltatori al periodo d’oro del genere, ma riescono comunque a non risultare retrò, il che è tanto per un gruppo così filologicamente devoto ad un periodo della storia del rock così precisamente individuato. Non chiediamo di più ad un gruppo del genere. Perché hanno già dato tutto. Questo è il punk rock, prendere o lasciare. Questo è il bello di un genere che riesce ad essere interessante rimanendo sempre, e fieramente, uguale a sé stesso, fregandosene delle mode, delle “nuove ondate” (qualunque esse siano), della sperimentazione e quant’altro che si allontani anche di poco dal sentiero del punk rock. Onore al merito a chi porta avanti con onestà un genere musicale come se si trattasse di una missione, e rimane sempre young, loud and snotty...