Faith No More SOL INVICTUS
[Uscita: 19/05/2015]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Diciotto anni e non sentirli, il tempo passato dall’ultima apparizione di un disco a nome Faith No More sugli scaffali dei negozi di musica. Mentre questi ultimi giungono alla quasi completa estinzione, i Faith No More, o ciò che rimane della formazione originale (ma pur sempre la stessa degli ultimi album) sono tornati, in formissima, come se nulla fosse accaduto in diciotto giri attorno al Sole, da quell’”Album Of The Year” datato 1997 che divise sia critica che fans, e che di fatto fece sciogliere il gruppo. Già dal 2009 c’era stata però una reunion, concretizzata solo nei live. Altri sei lunghi anni ed ecco sorgere “Sol Invictus”, che prende il nome dal culto al Dio Sole d’epoca Aureliana (270 d.c.), passato alla storia come tentativo di unificare tutte le religioni sotto un unico soggetto da idolatrare, senza che gli altri Dei potessero pensare d’esser stati traditi: anche nei testi di alto livello, nella sovrabbondanza di S nei titoli delle prime cinque tracce, emerge questo concettuale parallelismo. Come da tradizione degli ultimi anni del web 2.0 l’album è dapprima approdato in streaming gratuito sulla rete.
Musicalmente il nuovo lavoro fonde una dichiarata atmosfera più ipnotica e gotica che mai all’alt-metal degli esordi nel gruppo (dal terzo album) dell’iper-prolifico Mike Patton, senza tralasciare lo schema piano-forte del grunge e post-grunge. Non manca neanche il crossover che è forse la loro tradizione più emblematica, a poggiarsi su questi stili e sul raffinato alt-pop della title-track che dà l’inizio alle danze. Escono fuori da questo discorso le sole Cone Of Shame (il Bolero alt-metal dell’opera, uno dei tanti capolavori) e From The Dead, un pop-rock di mezzogiorno che sa di Beach Boys, emblematicamente poste rispettivamente alla quinta e decima traccia. Il comprensibile pregiudizio verso le reunion di gruppi da grandi platee, che troppo spesso non hanno lasciato tracce considerevoli, svanisce inesorabilmente fin dai primi ascolti del disco.
Difficile scegliere quale sia l’episodio migliore: il rapcore di Motherfucker pubblicato come primo singolo; il grindcore misto al gothic di Superhero (secondo singolo pubblicato), il cui struggente finale merita un plauso; Separation Anxiety col suo basso che sa di Cure, dalla struttura circolare, claustrofobica; Matador dove forse si raggiunge il maggior numero di stili fusi insieme, anche grazie ai poliedrici vocalizzi di Patton; la stessa Sol Invictus. Tutte gemme scintillanti che comunque non fanno sfigurare le restanti songs, ognuna meritevole di menzione: il funk-metal di Sunny Side Up; l’alt-metal di Rise of the Fall; il rap accompagnato da chitarra classica e ritmo funk di Black Friday, con ennesima esplosione di un finale urlato e metal, forse l’unica song che risulti un po’ ripetitiva dopo un considerevole numero di ascolti. 40 minuti intensi, suddivisi in 10 pezzi complessi ed essenziali al tempo stesso: un’altalena emozionale, tracce colme di pathos a volte lugubre, altre aggressivo, a volte gioioso. I Faith No More sono tornati e fanno sul serio come mai prima d’ora.
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