Mogwai RAVE TAPES
[Uscita: 20/01/2014]
# Consigliato da Distorsioni
La capacità di ribaltare i canoni stilistici consolidati nel tempo, soprattutto se fonti di soddisfazioni e giudizi lusinghieri di fans e critica, appartiene di certo ai grandi. Se poi, gli esiti sono mirifici sul piano qualitativo, e il tratto artistico ne risulta addirittura accresciuto, siamo all’optimum. A distanza di quasi tre anni dall’ultimo vero album, il sontuoso “Hardcore Will Never Die, But You Will”, e quasi un anno dopo la sinuosa e inquietante colonna sonora per un’intrigante serie televisiva francese, “Les Revenants”, il valoroso quintetto di Glasgow, avente come augusti nocchieri il prode Stuart Braithewaite e Dominic Aitchison, torna a solcare i territori musicali odierni, in modo a dir poco roboante. Ancora una volta, capovolgendo il canone sonoro consueto, lo stile, si direbbe filosofico, orientato verso una dimensione meditativa circonfusa di brume sensoriali, il ritorno in pista dei Mogwai è spiazzante. Suoni che assumono una qual certa ruvidezza d’impatto, benché ciò non si evinca dall’iniziale Heard About You Last Night, dove l’incipit, un placido dispiegarsi tastieristico, rinvia ai brani più meditativi del loro repertorio.
La seconda traccia, Simon Ferocious, suona come un insieme di punte di zaffiro sfregate su spuntoni di roccia, sonorità tuffate in sulfuree acque elettroniche, con screziature di chitarra in distorsioni. Ancor più, la sontuosa pista musicale di Remurdered ribadisce il concetto di uno stile rivoltato dall’interno, con pulsazioni elettriche sorgenti dagli abissi stessi della terra. Hexon Bogon non lascia spazio ad atmosfere rassicuranti, col solito intreccio di chitarra e sintetizzatore dove nuotano come pesci agonizzanti le note. Il frammento parlato con sottofondo di tastiera e batteria di Repelish fa da preludio alla chitarra, bruciante negli spazi desolati del rock più graffiante, in Master Card, mentre la cavalcata siderale di Deesh , snodantesi come una serpe lunare di musiche oblique lungo i sentieri del vuoto cosmico, tocca vertici di inaudito splendore compositivo. Non mancano momenti di riattingimento della primigenia quiete meditativa, a spezzare per un attimo il labirinto circolare dei paesaggi spettrali dell’anima, e Blues Hour ne è palese dimostrazione, col suo dipanarsi leggero di acquerello psych-folk. Sulla scia della traccia precedente, seppur dal ritmo maggiormente sostenuto, e con intarsi iterativi di tastiera, No Medicine For Regret, a far da ideale volano alla splendida e conclusiva The Lord Is Out Of Control, favola nera, per voce robotica e chitarra ustionante, che pone un aureo suggello a un album di preziosa genitura stellare.
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