Thomas Bartlett & Nico Muhly PETER PEARS: BALINESE CEREMONIAL MUSIC
[Uscita: 11/05/2018]
Stati Uniti
Per prima cosa crediamo sia opportuno spiegare i riferimenti contenuti nel titolo: Peter Pears, colui al quale questo disco è dedicato, era un tenore nonché partner artistico e nella vita del compositore inglese Benjamin Britten, che a sua volta si è molto interessato al lavoro di Colin McPhee, il musicista canadese che per primo fece conoscere la musica di Bali e Giava in Occidente, e con cui si esibì in alcune partiture per due pianoforti basate su trascrizioni di musica gamelan, opera dello stesso McPhee. Questa vicenda artistica ma anche umana è il punto di partenza per questo lavoro che Thomas Bartlett, noto come songwriter con il nome di Doveman (vanta collaborazioni con The National, Anthony & the Johnsons, Sufjan Stevens) e Nico Muhly, allievo di Philip Glass (con all'attivo vari album e collaborazioni con gente come Bjork, Bonnie 'Prince' Billy, Anthony and the Johnsons, Sufjan Stevens) hanno imbastito con grande cura e un trasporto intenso e perfino commovente. L'album è composto quasi interamente da tracce originali scritte dai due musicisti, i cui testi, scritti da Bartlett, sono ispirati a brani trovati nei libri per bambini di sua madre e a riferimenti alla vicenda personale, artistica e amorosa di Britten e McPhee, vissuta in un periodo in cui l'omosessualità veniva perseguita e quindi andava tenuta nascosta.
A scanso di equivoci “Peter Pears: Balinese Cerimonial Music” non è un disco di world music, anche se naturalmente il gamelan ne influenza soprattutto l'uso delle percussioni, quelle metalliche in Festina o nell'impercettibile crescendo di Dominic o nelle sonorità orientali e ipnotiche di Pemoengkah, uno dei tre brani trascritti da McPhee inseriti nell'album: questo è coerente con la particolare ricerca dei due musicisti, che inseriscono le influenze balinesi nel songwriting intimo e malinconico, quasi sadcore di Bartlett e nella ricerca di una sintesi fra minimalismo e pop sperimentale propria di Muhly. Gli arrangiamenti estremamente discreti, minimali, a volte impalpabili, e i testi avvolti in un'aura di languore e lentezza, quasi a restituirci il senso della relazione profonda che univa Pears e Britten, dei gesti e degli sguardi d'affetto furtivi che dovevano scambiarsi in segreto, donano al lavoro un senso profondo di poesia e intimità. La voce fragile, sussurrata di Bartlett, che ricorda quelle di Scott Matthew o dell'ultimo Kozelek, ma senza alcun compiacimento o autoindulgenza, ci immerge in un mondo che ripudia la velocità, la frenesia, ma va alla ricerca di sentimenti puri e delicati.
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