Mount Eerie OCEAN ROAR
[Uscita: 4/09/2012]
A distanza di quattro mesi dal precedente “Clear Moon”, ecco, come annunciato, la seconda parte di quel disco “Ocean Roar” che già nelle parole di Phil Elverum, aka Mount Eerie ne avrebbe rappresentato la parte più oscura e misteriosa. Scura e misteriosa come l’acqua profonda dell’Oceano Pacifico nord occidentale, fonte di ispirazione delle 8 tracce che compongono l’album. Registrato come il precedente in un’antica chiesa sconsacrata di Anacortes che è diventata lo studio di registrazione di Elverum, è a quest’ambiente molto intimo e particolare che si deve il suono profondo, quasi solenne che percorre il disco con i sintetizzatori che anche in questa seconda parte riecheggiano il suono dell’organo. “Ocean Roar” è un’esperienza auditiva a cui abbandonarsi per entrare nella mente inquieta di Elverum, per condividerne le esperienze psichiche e il modo intenso, panico di vivere il paesaggio.
Il disco, sono parole del musicista: <<va in profondità nella nebbia e nel muro di rumore ricordando un sogno di un viaggio di vent’anni fa a mezzanotte verso l’oceano>>: l’oceano che con la sua umidità copre di scura nebbia la terra in cui Elverum vive, ci appare quindi più che nel momento in cui è visto e vissuto in quello del sogno e del ricordo, quando viene rivissuto nella nostra anima. Ecco che quella quiete e apparente pacificazione che si respirava nel precedente “Clear Moon” si fa da parte, confinata in pochi altri momenti - le parti cantate - sovrastata dal mistero delle acque, dalla loro forza imponente, dal fascino e dalla paura che esse suscitano, acqua fonte di vita e di morte di fronte alla quale l’uomo vive la sua solitudine. L’iniziale Pale Lights è un lungo audace brano di quasi dieci minuti, un muro di chitarre, sintetizzatori, un basso quanto mai cupo, un suono che unisce le tonalità scure del black metal all’ossessiva psichedelia dello shoegaze.
Piatti, chitarre e la voce di Elverum e di un coro femminile ci danno un po’ di tregua in Ocean Roar; mentre la breve Ancient Times è costruita su poche note dissonanti dl piano e rumori di onde, gabbiani e la voce appena sussurrata di Elverum. Respiro solenne e conturbante nel primo dei due strumentali, entrambi senza titolo, col piano e i sintetizzatori che sembrano evocare il suono profondo degli abissi, un accentuato umorismo pervade la successiva Waves; la cover di Engel Der Luft degli amati Popol Vuh, la cui influenza è presente soprattutto nella struttura e nell’andamento delle parti strumentali, viene sporcata da rumori e distorsioni; I Walked Home Beholding ci restituisce l’Elverum songwriter, con la sua capacità di costruire canzoni dalle melodie dolcissime e oblique, un’oasi di pace dopo lo tsunami di suoni che ci ha fino ad ora travolto e che riprende con il conclusivo brano strumentale. Certo nel confronto “Clear Moon” si fa preferire, perché lì c’era l’Elverum scrittore di canzoni che dà il meglio di sé, mentre in alcuni momenti l’ossessiva ripetitività delle parti strumentali di “Ocean Roar” produce qualche momento di stanchezza e affatica eccessivamente l’orecchio.
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